E MTV CREò IL VIDEO, POI VENNERO I REGISTI, E IL POP FU!
Il video musicale è una forma d’arte? Senza dubbio di smentita rispondiamo con un sonoro SI. La connessione sempre più stretta tra video musicali e cinematografia ha ormai varcato i confini del
semplice intrattenimento o la necessità merciologica di promuovere l’ultima hit del cantante di turno. Realizzare un video che faccia parlare di sé può significare una svolta per intere carriere, ha il potere di eliminare in tre minuti anni di polvere accumulate sui lustrini di cantanti mummificati e far risplendere accecanti stelle in un firmamento di note, bassi e riff. Si dice che tutto cominciò con Bohemian Rapsody dei Queen, video dal glam psichedelico che lanciò la moda di accompagnare le uscite discografiche con immagini per teleschermi. Ma bisognerà attendere il 1 Agosto 1981, con la prima messa in onda di un canale televisivo che ha segnato una generazione, MTV, perché il video musicale arrivi ad arrogasi il diritto di essere portatore di un messaggio chiaro e profetico: Video Killed the Radio Stars (Buggels), è così fu: non c’è cantante al mondo che non abbia almeno una volta accompagnato la propria musica con immagini in movimento. Ma tutto questo che c’entra con il Cinema con la C maiuscola, quello vero fatto di attori e registi? La domanda è retorica e non vi affannate a rispondere: il video musicale è la vera nuova forma di cinematografia, è il vero inno alla creatività, è la palestra dei registi del futuro, è la sperimentazione portata a livello pop. E se all’inizio i video dovevano molto all’arte cinematografica (il video, si può dire, è la cartina tornasole di tutti i generi cinematografici, dall’horror alle commedie, dalla fantascienza all’animazione), le parti si sono invertite e come un impertinente alunno che si fa beffe del vetusto maestro, oggi è il cinema che deve tutto al video making, da cui ruba soluzioni stilistiche, trucchi scenici e, non ultimi, loro: i registi. Essere registi di video, soprattutto negli ultimi anni, con l’affermarsi appunto della cosiddetta MTV Generation, ha significato creare una vera nuova professione all’interno del panorama cinematografico e televisivo. Far riconoscere il proprio stile, assecondare o distruggere i gusti e le iconografie della star di turno ha significato il successo o il fallimento per molti, è come camminare sulla lama di un rasoio. Ma a conti fatti affidarsi a registi quotati è la cosa migliore che un cantante possa fare… un buon video può nascondere la fragilità di una canzone e decretarne il successo. E questo l’hanno capito presto anche i registi di cinema, la sfida di raccontare una storia in tre minuti l’hanno accettata al volo e sono ormai pochi i registi che almeno una volta non si sono cimentati con il video musicale. La regia di video ha superato come una supernova tutti i generi cinematografici. Si è fatto horror (ricordate Thriller di John Landis, dove circondato da zombie danzerecci Micheal Jackson era l’unico a non aver bisogno di trucco!), si è fatto documentario sociale (Spike Lee con i Public Enemy urla Fight the Power e Micheal Moore con i Rage Against the Machine consiglia Sleep now in the Fire a tutta la piazza di Wall Street, occupata con un concerto a sorpresa, venendo arrestati); si è fatto animazione (esemplare è il caso di INTERSTELLA 555, la serie di video a puntate di Leiji Matsumoto per i Daft Punk, poi arrivato nelle sale cinematografiche in forma estesa). E allora ecco una sfilza di attori da Oscar che non dicono no a recitare in video musicali, ecco registi che si cimentano nelle piccole narrazioni musicali, ed ecco cantanti che diventano attori visto la capacità comunicativa che riescono ad imprimere recitando nei loro video (Eminem, Robbie Wiliams, e su tutti lei, Madonna, che per prima ha capito il poter comunicativo del video e che puntualmente presenta ogni suo camaleontico mutamento proprio nei suoi video) Allora il video musicale È il nuovo cinema? Di certo è una forma cinematografica pura, ripiegata nei suoi 5 minuti costringe chi gira video ad inventare, a ricercare e comunicare senza orpelli. In questo speciale puntiamo i faretti dello studio su 4 registi che negli ultimi anni hanno rapresentato al meglio cosa vuol dire essere registi di video musicali, e non è un caso che almeno la metà di loro abbiamo fatto il salto nella cinematografia da grande schermo, perché il video musicale è il figliol prodigo che non torna a casa ma trova la sua via, oscurando spesso e volentieri il padre padrone. Ed è spietato con chi non capisce, con chi si prende gioco di lui e non lo rispetta; con chi crede che sia un piccolo passaggio obbligato per poi arrivare alle grandi produzioni con attori “veri”, un caso su tutti quello di Mark Romanek (Red hot chili peppers, Fiona Apple, ed è il regista del video più costoso della storia Scream, per i fratelli Micheal e Janet Jackson, 7 milioni di dollari!) passato alla regia nel 2002 con One hour Photo, un film che ha cancellato con un click anni di eccelsa carriera nell’arte del video. Prendiamoli sul serio, i registi di video, perché sono coloro che faranno il cinema che vedremo, sono coloro che hanno davvero cambiato il modo di comunicare con le immagini, ceh hanno dettato nuove leggi anche nel mondo del cinema, e lo hanno fatto a tempo di musica.
CHRIS CUNNINGHAM
I video di Cunningham fanno paura. E non solo per la perizia con cui il giovane videomaker inglese muove la macchina da presa… no, i suoi video sono davvero piccoli e perfetti film dell’orrore. Teli sogni proprio la notte. Non è un caso che agli inizi della sua carriera Cunningham abbia collaborato come creatore di effetti speciali a film come Alien 3 e 4 e sia stato chiamato da sua maestà Stanley Kubrick per la realizzazione dei bozzetti della prima abortita versione di AI. Il vero salto nella regia, Cunnigham lo fa nel 1995 quando inizia a girare video per Autechre e Aphex Twin, due delle realtà musicali più innovative degli anni 90. I video di Cunningham, dicevamo, fanno paura. L’esempio più eclatante è Come to Daddy (Aphex Twin) dove lo spettatore assiste alla nascita di un informe e magrissimo mostro, interpretato dal dissecato Al Strokes, caratteristica assai richiesto anche a Hollywood per la sua estrema magrezza, che chiama a sé la sua diabolica prole. Sono bambini con visi da adulti (maschere in lattice che riproducono il viso dello stesso Aphex) che distruggono tutto con la violenza innocente di cui solo un bambino è capace. La fotografia livida del video regala alle squallide ambientazioni suburbane un effetto straniante e quasi spaziale. Il montaggio, che asseconda schizofrenico il beat pazzoide della canzone, segna davvero un punto di svolta nella costruzione dei video musicali, con immagini orrorifiche che sfiorano il subliminale e spaccano in due la corteccia celebrale dello spettatore. Il talento, come sempre accade, viene notato e “acquisito” dalle grandi produzioni e Cunningham si ritrova a girare spot promozionali per Levi’s e Playstation (ricordate quella bambina aliena che tanto fece scalpore alcuni anni fa?); e video per una Madonna versione regina della cabala (Frozen), per i Placebo (36 Degrees) e per i Portishead (Only You). Il vero masterpiece di Cunnigham rimane però il clamoroso All Is Full of Love, diretto per Björk. Tre minuti di pura poesia cinematografica. Assistiamo inermi alla creazione di un candido robot, che porta le sembianze androgine della cantante; è evidente come a Cunnigham piaccia distruggere, frantumare e reinventare i corpi o i visi, l’identità viene violata e reinventata per il video di turno, una soluzione che pesca a piene mani dalla cultura della musica pop e la innalza a arte. Il robot, o meglio la robot, è molestata da freddi macchinari che la esplorano e la violano con movimenti liquidi. All’arrivo di un altra robot identica (ah, la produzione in serie) le due si abbandoneranno ad un robotico amplesso; romantico, puro e lattiginoso. Sono anni che Cunnigham lavora alla traposizione cinematografica di Neuromancer, futuristico romanzo di William Gibson, padre del cyberpunk; siamo sicuri che nessuno come lui possa essere adatto alla traposizione in immagini di quel miscuglio psicotico di carne e elettrodi. E il cinema ringrazia: non si contano i film che hanno pescato a piene mani nel talento visivo di Cunnigham; qualche esempio? I robot di Io, robot sono pari pari a quelli di All is Full of Love. In The Cell, JLo si rirova sospesa in aria, ma l’effetto è acquatico come in Only You. L’orrido horror Pulse dello scorso anno è una riproposta al 100% di Come to Daddy. Intanto Chris si distrae girando corti (Rubber Johnny riprende il discordo iniziato con i video di Aphex Twin e mostra il dolore di un ragazzo deforme); producendo videoistallazioni come flex, altro lavoro sul corpo umano (questa volta assistiamo alle flessioni di due amanti che si mischiano quasi a formare un solo mostruoso groviglio di muscoli); e girando nuovi video, prediligendo però gruppi misconosciuti: è il caso della sua ultima produzione, per i The Horrors (Sheena is a Parasite), dove la cantante si “lascia andare” a trasformazioni raccrapiccianti in un nero densissimo, il colore prediletto da Cunnigham, che lo usa per nascondere i suoi orrori e mostrarli all’improvviso quando lo spettatore inerme meno se l’aspetta.
SPIKE JONZE
Spike Jonze, già dal nome (che infatti è fittizio, il vero nome è Adam Spiegel), è un b-boy, è figlio del culture jamming, è un meltin-pot vivente; insomma tutte queste cose molto giovani! Ma a parte gli scherzi, Jonze ha talento da vendere, muove la telecamera come un’estensione del braccio. Senza tanti salamelecchi e grossi budget tira fuori video che fanno scuola, insomma è quello che si definirebbe un gran “fico”, uno a cui le cose vengono facili perché lo stile gli scorre nel sangue! Inizia a lavorare nel mondo dell’immagine come fotografo per riviste di skate e street culture come Dirt (di cui e co-fondatore) e Grand Royal alla fine degli anni ’80. A furia di riprendere giovani schizzati che si spaccano i malleoli saltando su una tavoletta di legno il nostro acquista uno stile che cattura esattamente il momento, che lascia trasparire davvero qual’è il punto di contatto tra la strada (intesa proprio come asfalto) e il cittadino, che sia lo skater o il cantante di turno poco importa, Jonze si frappone nel spazio preciso dove inzia l’uno e finisce laltro e con la sua telecamera a mano ripronde tutto. Prendiamo come esempio maximo uno dei primi video girati per i Beastie Boys, Sabotage. I tre “cazzoni” interpretano tre improbabili poliziotti baffuti, che paiono usciti direttamente da un telefilm anni 70 di serie B; si muovono come spiritati tra le strade di LA inseguendo criminali che di tacche non ne hanno manco mezza, e in tutto questo rutilante correre la cinepresa è, molto semplicemente, il quarto cazzone! Si vede proprio che il primo a divertirsi a girare i propri video è Jonze! E presto gli si sono aperte le porte di Hollywood, non solo per la sua relazione durata quattro anni con Sofia Coppola, (che per amor suo, talaltro si è trasformata in una ginnasta per il video Electrobank dei Chemical Brothers; si dice che è stato l’inizio della fine della loro storia d’amore). Di certo, tra i registi di video, Jonze è quello che per primo ha avuto credibilità di critica e pubblico nel mondo della cinematografia definita “alta”, con il perfetto Essere John Malkovich. Sorretto da una sceneggiatura impeccabile del grande Charlie Kaufman (che ha scritto anche il secondo film di Jonze, il meno riuscito Il ladro di Orchidee), il film è folle proprio come i video di Jonze, che sembrano essere usciti direttamente dalla testa del regista. Guardare un video di Jonze è proprio come essere dentro al suo cervello, e guardare con lui le piroette di Björk nel quasi musical It’s All So Quiet: un video favoloso, che riprende il folletto islandese alle prese con cassette della posta danzanti e nonnine ch farebbero sfigurare Fred Astaire! O con televisiva nostalgia essere ospiti dell’ Arnold Drive In di Happy Days, circondati da Fonzie e Ricky Cunnighamm, nel fichissimo Buddy Holly dei Weezer. Il rapporto tra cinema e Spike Jonze (fidanzamenti a parte) non si limita comunque alla regia: è stato attore a fianco di Gorge Clooney in Three King; è uno dei creatori di quel mix di sadomasochismo e stupidità che risponde al nome di Jackass; e, dulcis in fundo, spesso e volentieri chiama nei suoi video attori famosi come protagonisti dei suoi video, come il clamoroso Weapon of Choise di Fatboy Slim, dove Christopher Walker volteggia in aria nelle stanze di un albergo deserto, scacciando la malinconia a passi di danza! Ma quanto è cool quest’uomo?! Talmente cool che ora è a lavoro per il suo nuovo film, Where the Wild Things Are, tratto dal capolavoro illustrato di Maurice Sendak, con una sceneggiatura scritta da un altro mito vivente come Dave Eggers. Il plot è degno dei suoi predecessori: un ragazzo di nome Max, inacidito con la vita come un moderno Grinch, crea nella sua stanza un mondo immaginario popolato di pazzesche creature… You’re so fucking cool, Spike!
MICHEL GONDRY
GENIO. MA CHE ALTRO SI PUÒ DIRE DI MICHEL GONDRY? Insomma c’è chi nasce con un dono. Come una specie di luccicanza cinematogrfica e trasforma tutto ciò che tocca in oro, o forse di un’elemento più prezioso dell’oro, in sogno, fosse pure un video musicale o una pubblicità per una bevanda dietetica. Michel, non gli dispiacerà se gli diamo del tu, sembra un bambino timido, un ragazzo intromesso e malaticcio… ma dietro il viso emaciato c’è un mondo, un altro mondo, lontano da quello che viviamo noi. Una seconda, terza, quarta lettura delle cose: i suoi occhi vedono cose che noi non riusciamo neanche ad immaginare, e per fortuna ce ne fa dono. In un’altra epoca forse sarebbe stato un visionario artista alla Bosch, un demenziale cantastorie di corte, un internato visionario e schizofrenico; ma invece è qui, e fa film! Nato e cresciuto a Versailles, in Francia, Gondry muove i suoi primi passi girando corti casalinghi e i video del suo gruppo, gli OuiOui. E ad un certo punto, proprio come una favola, spunta Bjork, colei che ha costruito la sua carriera sulla visionarietà dei suoi video, che per prima crede in Gondry e gli affida la regia di Human Behaviour, bucolico e onirico: le basi sono gettate, il resto è storia. Ed ecco Protection per i Massive Attack. Gondry fa costruire un intero palazzo poggiato orizzontalmente sul pavimento di un grande set, con la cinepresa sospesa a mezz’aria ci porta nelle case,dove gli abitanti, sdraiati per terra, in un incredibile effetto ottico ci sembreranno in piedi. La carriera videografica di Gondry è un susseguirsi psichedelico di invenzione, di scatole cinesi che una dentro l’altra rivelano milioni di idee, di tecniche, di novità. Sono i video di Gondry a creare il mito intorno ad alcuni artisti. 1997: chi sono i Daft Punk? Ma dai, quelli con quel video dove ci sono gli scheletri, le tuffatrici, le mummie e gli alieni che fanno il balletto. 2002: Chi sono questi White Stripes? Ma si, quelli che hanno il video fatto con i pezzettini di LEGO! Insomma, Gondry è un creatore, e chi si affida a lui sa che si può fidare, anche quando Michel si presenta con mille fogliettini sparsi dove ha appuntato le sue incomprensibili idee. La lista di chi si è fidato è impressionante, dai Rolling Stone ai Chemical Brothers, da Beck ai Foo Fighters a Kylie Minouge… e ogni volta noi con gli occhi spalancati a chiederci da dove Gondry ha tirato fuori certe genialate. Il passo per arrivare al grande schermo è facile, ma rischioso: Human Nature, prima regia di Gondry, delude le aspettative e lascia da parte la visionarietà coloratissima per un racconto naturalistico e pilifero che non stupisce… per fortuna arriva un raggio di luce in una mente immacolata, ed ecco Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Del film è stato scritto, detto, studiato tutto, non saremo noi ad aggiungere paccottiglia… ma voi li avete mai viste le locandine originali? Come in un opera di Mimmo Rotella, i meta-poster con i visi dei protagonisti sono strappati all’altezza degli occhi. Ed è questa forse una lettura valida per tutto il lavoro di Gondry: quando stiamo per vedere una nuova opera di Gondry scordiamoci tutto quello che abbiamo già visto, al cinema, in televisione, quando eravamo bambini nelle nostre fervide fantasie… Perché possiamo essere certi che quello a cui stiamo per assistere sarà un nuovo miracolo visivo, sarà un nuovo modo di guardare dal finestrino di un treno, vedendo gli elementi ripetersi come i beat di una canzone dance, o vedremo un mondo al contrario dove sui muri campeggiano le foto dei familiari e nelle cornici ci sono le carte da parati e dove gli uomini trasportano le macchine e noi stessi seguiremo le nostre ombre. L’importante sarà crederci.
FLORIA SIGISMONDI
La Sigismondi nasce a Pescara nel 1965. Ma per fortuna si trasferisce in America… per fortuna, altrimenti ora era di sicuro alle prese con produttori spaventati dalle sue irrequietezze e dalla sua forza visiva. Dal suo coraggio immacolato di portare sullo schermo gli incubi peggiori con la grazia di una madonna dallo sguardo benevolo, pronta a pugnalarti. Il senso estetico è ciò che solleva la Sigismondi nel panorama dei videomaker moderni… Ogni frame una fotografia, ogni video una poesia vera, di quelle che scavano. E fanno male. L’inizio di carriera è folgorante, supportato dal corpo insano di Marylin Manson, la Sigismondi firma due dei video che aiutano il cantante a potersi arrogare il diritto di essere definito un anticristo, Tourniquet e The Beautiful People. Sono incubi allo stato R.E.M. (tralasciando il gruppo!) Insetti, manichini viventi, ruggine e sangue si mischiano e creano una nuova poetica dark, imitata a ruota da mille altri video e film (soprattutto horror, ma non solo). Sono gli inquieti quadri di Bacon e i cut-up di Burroghs a fare da filo conduttore nel lavoro sfocato e sanguinolento della Sigismondi. I suoi video sono tutti dei colpi al cuore, filtrati magari dalle atmosfere rarefatte dei video per i Sigur Ros (Untited#1) o dai collage politici per gli Incubus (Megalomaniac). Sta di fatto che la Sigismondi fa scuola nell’uso dei pastelli con cui riempie lo schermo, nelle maschere sadiche che applica ai protagonisti: l’arte della Sigismondi è polvere nera che cade come neve e silenziosamente ricopre tutto. Non più di un’anno fa, chi scrive ha avuto l’occasione di intervistare Floria per il magazine indipendente XXXXX… ecco uno stralcio di quella intervista, che forse meglio di molte parole può fare luce (ma che sia una luce chirurgica) sul pensiero di questa videomaker.
La capacità di suscitare meraviglia nei cuori di chi vede e apprezza il tuo lavoro che sensazione ti trasmette? Non ti spaventa un po’?
è un onore riuscire ad avere un effetto sulla gente. Faccio arte per conoscere me stessa, per provare a capire il mio mondo e i vari livelli della mia realtà. è una magia suscitare qualcosa negli altri in questo modo, creando per me... mi fa pensare che non sono sola!
Quali sono gli aspetti di una canzone che trovi irresistibilmente seducenti tanto da accettare di trarne un video?
Il “suono” mi deve commuovere. La musica o i testi, preferibilmente entrambi. Devo sentire qualche emozione. Se le parole mi dicono una cosa, ma la musica me ne dice un’altra non va... Cerco suoni familiari che mi portano verso luoghi che vorrei scoprire. Sono una che sperimenta e mi piace provare le cose per la prima volta. Quindi se una canzone melo fa fare, allora m’ispira.
Avevo letto - qualche tempo fa - di questo tuo desiderio di realizzare un film. A che punto di maturazione è giunto il desiderio? E come credi che NON dovrà mai essere un tuo film?
Sto scrivendo proprio ora. Il titolo sarà Behind the Ballyhoo Blues. Un posto dove tutti scoprono di avere un lato oscuro... non posso dirti altro!
Se potessi mutarti in una chimera, come ti immagineresti?
Avrei di sicuro le ali, così da non dover prendere più aerei. Sono allergica agli aerei. Poi avrei un braccio lunghissimo per esplorare tutto al tatto... con la pelle iridiscente e occhi che si muovono ai lati del viso per una vista panoramica. Insomma, un alieno o un insetto. Poi vorrei riuscire a leggere i pensieri degli altri cosi finalmente capirei perché le cose sono andate a puttane.
BOX 1
PRENDI L’ARTE E METTILA NEI VIDEO
C’è tutta una seria di videomaker che molto deve al mondo dell’arte, diciamo dell’arte intesa come gallerie-collezionisti-paroloni. Molti videomaker sono registi sì, ma al tempo stesso fotografi e performer. Un esempio eclatante è David LaChapelle. Diventato famoso per i sui ritratti fotografici di star eccessivi e provocanti, LaChapelle inizia a girare video musicali senza soluzione di continuità. Moby, Christina Aguilera, Elton John, Britney Spears sono solo alcune delle popstar passate atraverso la sua vena creativa carica di colori sgargianti e mésse in piece superlative. I video di LaChapelle sono estremi e coloratissimi come le sue foto, vanno a braccetto con le iconografie forzate di molti cantanti, ne assecondano l’ego smisurato, ci giocano e spesso lo reinventano… farsi fotografare da LaChapelle per molti è qualcosa da mettere nel curriculum. Da poco è uscito il primo lungometraggio di LaChapelle, RIZE, un documentario sulla danza nei ghetti neri. Shake your ass, come direbbe qualche rapper di fama; il fim di LaChapelle paga il dazio del fattore durata e non raggiunge i picchi stilistici dei suoi scatti e dei suoi video musicali. Altro esponente del fronte video/arte è Anton Corbjin, regista per U2, David Bowie, Depeche Mode e Nirvana. Corbijn è anche un affermatissimo e quotatissimo fotografo. Poi c’è il “caso” Matthew Barney, compagno della solita Björk. Matthew è uno dei videoartisti più affermati del panorama mondiale e con il suo ciclo di film CREMASTER (dalla durata media di tre ore ) ha realizzato un’opera il cui grado di fascinazione visiva e cinematografica è inversamente proporzionale alla sua comprensibilità. Negli ultimi due anni Barney ha lavorato a Drawing Restraint 9, a fianco della moglie, che ha realizzato la colonna sonora, un’opera a metà tra il videoclip e il film.
VIDEOMAKER ALLA AMATRICIANA
Tutto cominciò dagli Scopitoni (o Cinebox), vetusti video-jukebox prvenienti dalla Francia che negli anni ’60 allietavano le vacanze di bellezze al bagno e bellimbusti da riviera: ed era tutto un susseguirsi di pettinature cotonate e costumini a strisce, che retròo! Insomma in Italia si realizzavano video musicali solo in funzione del successo di ferragosto. Ma parliamo di oggi, anche l’Italia canta… e quindi fa video. Diciamo però che lo facciamo a modo nostro. Difficilmente raggiungiamo la qualità dei registi di cui abbiamo parlato in questo speciale e anche quando regia e idee ci sono, allora è il budget a distruggere la produzione. In Italia, come al solito, tutto funziona un po’ al contrario. Anche in italia il legame tra cinema e video musicali è stretto, e capita che i due mondi si prestino personaggi e registi: ed ecco Salvatores che gira per Jovanotti-Ligabue-Pelù o il caso di Ligabue che si mette adirittura a fare regia di film. Caso a parte nel panorama italico è rappresentato dai dinamici Manetti Bros. I due fratelli romani hanno una lista di collaborazioni lunghissima, da Alex Britti agli 883 ai Tiromancino; sembra quasi che siano gli unici a girare video nella penisola: arriveranno anche ad autocitarsi nel divertente video Ma che Idea dei Flaminio Maphia. I Manetti, video dopo video, sono riusciti ad allargare le loro vedute fin ai sette metri per tre di uno schermo cinematografico nel 2000 con Zora - La Vampira, ma il salto non è stato molto alto, nonostante la spinta di Carlo Verdone, che stravede per i due. Ci hanno riprovato lo scorso anno con Piano 17, meno budget e tutto puntato sulla sceneggiatura claustrofobica… purtroppo però c’era anche Entrico Silvestrin e quindi più o meno tutto da rifare. Comunque non pensiate che a fare video in Italia ci siano passati sono giovani videomaker alle prime armi: il maestro Michelangelo Antonioni, nel 1984, girò per Gianna Nannini il video di Fotoromanza, realizzando, ahilui, un vero manifesto dell’iconografia a tutti i costi: “Questo amore è una camera a gas (tac: scena di una camera piena di gas) - è un palazzo che brucia in città (tac: palazzi in fiamme) - questo amore è una lama sottile (tac: un coltello taglia lo schermo in due) - è una scena a rallentatore (tac… indovinate!)
(questa mel'ero rivenduta in qualche vecchio post ve'? giornalismo riciclato, su C&B)
BOX 2
Sorgente definitiva per vedere i video citati è di certo il sito www.youtube.com: basta digitare il nome del regista, del cantante o il titolo della canzone e avrete da fare per le prossime settimane. Oppure potete compravi i dvd della Directors Label (creata da Gondry, Jonze e Cunnigham), li trovate su www.directorslabel.com. Buona visione.
Ok.
RispondiEliminaDi prima mattina sto POSTONE è un po' ostico, diciamo che ho letto... trasversalmente.
Tra le varie cose:
sapevo di sto film e infatti non vedo l'ora di vederlo. Non ha ancora data di uscita italiana, il che come al solito mi affossa. In Islanda, per dire, è uscito da un mese, ma quanto stanno avanti in Islanda? Specie con le faccende musicali.
Dakota Fanning era insopportabile, mo è diventata quasi una gnocca. Togliamo il quasi. Ma ha 16 ANNI!!! MA che gli danno da mangiare a queste?!?! Bah. Ma regge una 16enne a fare quella parte? Uhm.
I registi di video sisì tutti belli, li sapevo. All'epoca dell'articolo, peraltro zeppo di refusi ma vabbè ;) forse non era uscito, ma hai visto CONTROL, il film di Corbijn su Ian Curtis dei Joy Division? MADONNA. MADONNA che bello. Ho la locandina enorme giapponese.
Ah, sì. Le locandine che hai messo sono COREANE, non giapponoidi (un posto in cattedra anche per Alabama yeah).
:)
no ma prego. fate pure... vieni qui ecco mettiti qui sulla sedia dietro la cattedra e io mi siedo al tuo posto. ;)
RispondiEliminai refusi le devono correggere i correttori di bozze, noi si pensa ai testi. qui si fa la storia della letteratura, posso pensà ai refusi... (il bello è che ne uscivano fuori non solo quelli miei, ma anche di nuovi...
CONTROL è in missione oggi e per finire il trittico musicale subito dopo Nowhere Boy (su Lennon)
Brava, io il film l'ho visto in Islandese, comunque! :)
Visto ieri notte.
RispondiEliminaBello, s. Mi ero fatto un po' di pre-viaggi, sapendo che era della Sigismondi invece mi ha sorpreso perché pulito e lineare.
Ottima "Bella", la ex-scimmia urlatrice invece secondo me poteva essere intercambiabile con la Jenny la biondina di Gossip Girl, sia per estetica che per recitazione.
Visto, comunque, dopo Nowhere Boy, che mi è piaciuto di gran lunga di più. Grandissimi quelli del casting per la scelta del Paul McCartney precisino e stronzetto.