Il più bel festival di cinema che si tiene in Italia, alla faccia di Venezia, Roma, Hollywood e compagnia, si svolge a Udine, nel lontano nordest, e tratta esclusivamente film orientali, anzi estremo-orientali. Il Far East Film Festival è da 13 anni il baluardo dell’ALTRO cinema in Italia. Quest’anno le cinematografie coinvolte erano quelle di Giappone, Cina, Corea del sud, Vietnam, Tailandia, Hong Kong, Filippine, Taiwan, Indonesia, Mongolia, Malesia e Singapore. Per dire, ma quando vi ricapita di vedere su grande schermo un film filippino o taiwanese?! Lo so che non vedete l’ora… God bless Far East Film Festival, God bless Udine e tutto il Friuli che si dà un gran da fare per essere la vera porta europea verso l’estremo oriente. Detto questo, Alabama era lì per la quarta volta, sempre più entusiasta.
In tre giorni ho visto 14 film, il 15° mi è stato impedito da… ehm, cause di forza maggiore. Ecco in ordine quello che ho visto, cosa merita e cosa no, con tutti i miei bei voti.
Attenzione! IL VOTO al FEFF è cosa di primaria importanza, dato che non esiste una giuria ufficiale di parrucconi polverosi come negli altri festival. Al FEFF la giuria è popolare, quindi ogni cartoncino va imbucato nell’urna solo dopo minuti e minuti di riflessioni serie e ponderate e MAI gettate al vento. Il voto è sacro! Da 1 a 5, la mia scala di giudizi è quella che vedete nello schemino qui sopra.
Mi pare onesto, no? Se mai vi capitasse non fate come me, che mentre guardo il film sto tutto il tempo (tutto) a pensare “parte da 2. Quasi 3. Nooooo, 2. Ah però, 4! No, mi sa che è 3” e così via fino all’esplosione del cervello.
Arrivo e mi fiondo in sala per...
VILLAIN
di Lee Sang-il, Giappone, 2010
Considerando che ne avevo letto di belle, entro carica a mille. Errore. Si rivela ben presto un mattonazzo inconsistente il cui spessore emerge dal fatto che mentre rileggo la trama (ora) mi sembra quella di un altro film, non ricordo NIENTE. Un tizio con problemi di non definita natura viene accusato di omicidio, e in effetti ha veramente ucciso la ragazza stronzissima che l’ha mollato per uno più ricco (e stronzo a sua volta). Però siccome “ha i problemi” allora dovremmo parteggiare per lui. Sbagliato. Si mette con una che pure “ha i problemi” (e giuro non si capisce mai PERCHE’ questi stanno ridotti così) e si amano tanto, si sa che chi ha i problemi ama la gente con i problemi. Fanno a gara a chi è più noioso. Non parlano, guardano nel vuoto, cose così. Ovviamente la gente “coi problemi” non va da nessuna parte, figurarsi se può essere felice, quindi mi pare che il tutto finisca in tragedia, al ralenti, con lui che viene catturato e urla mentre lei muore da qualche parte. Mio dio. E dura 139 minuti!!! Ridatemeli.
Esco dalla sala e rientro immediatamente per...
MY DEAR DESPERADO
di Kim Kwang-sik, Corea, 2010
Oh, ecco un bel filmettino. Soprattutto grazie ai due attori bravissimi. Ragazza licenziata cambia casa e va a vivere porta a porta con un gangster. Lei è sveglia e determinata, lui un coglionazzo sempre pronto a dire la cosa fuori luogo. Ovviamente pian piano i due si avvicinano, per un motivo o per l’altro e il film da commedia simil-demenziale diventa un misto di romance e (poco) dramma. I coreani sono i più bravi a mescolare i generi, è il punto di forza del loro cinema, non mi stancherò mai di ripeterlo. Il protagonista ha una faccia perfetta per la parte ed è in stato di grazia. Si trasforma da coglione in eroe quando alla fine fa di tutto per farla arrivare in tempo al decisivo colloquio di lavoro. La crisi si sente anche in Oriente, non è il primo film con protagonisti precari.
Nell’oretta a disposizione per la cena ci ingozziamo di ramen e poi corriamo in sala per...
BUDDHA MOUNTAIN
di Li Yu, Cina, 2011
Il mio primo 5. Mi ha travolto completamente, forse anche troppo dato che i miei compari di visione gli hanno dato se non sbaglio 3 o al massimo 4 stiracchiato. Io l’ho trovato folgorante. Tre amici per la pelle, una ragazza e due ragazzi spiantati e dal background infelice, vanno a vivere in casa di una signora, cantante d’opera in pensione.
I rapporti all’inizio sono tesi ma destinati ad ammorbidirsi. Personaggi vividi perfettamente tratteggiati, interpretazioni intense (soprattutto la signora, bellissima, disperata per la perdita del figlio, perennemente in tensione), fotografia sublime che dipinge la Cina di luce e colori cupi. Un film bellissimo. (…ehm, inoltre la ragazza ha dei capelli fantastici e ogni volta che la inquadravano pensavo voglio quei capelli!!!)
Non ancora domi ci rimettiamo in coda per vedere...
THE MAN FROM NOWHERE
Lee Jeong-beom, Corea, 2010
Madonna santa. In senso brutto. Allora, qui abbiamo un film che è il primo incasso del 2010 in Corea, un trionfo di pubblico e critica, attesissimo al festival, quasi in odore di vittoria. Sbagliato. Sempre diffidare dei campioni d’incasso ai botteghini asiatici, vuol dire che da noi fanno ridere, quando va bene sono una noia (vedi anche il precedente Villain, stessa storia, mille premi in Giappone, mioddio). Storia piuttosto hard-boiled zeppa di clichè di genere, spaccio di droga, compravendita di bambini, botte da orbi, occhi staccati (per l’appunto), esplosioni, matrix, pistole con proiettili che non finiscono mai e soprattutto LUI, l’eroe che non parla dallo sguardo torvo, bello e dannato. Direi piuttosto bello e d’annata visto che il tutto puzza di stantio lontano un chilometro. Se nel 2011 mi rifai ANCORA i combattimenti alla matrix e le pallottole al ralenti metti a seria prova la mia resistenza alla Noia. Inoltre la trama IMPOSSIBILE da seguire non agevola la visione, io ci ho provato ma dopo 45 minuti di continuo chiedere ma lui chi è? Ma perché ora si incazza? Questi due che vogliono? Ma lui non era morto? Quella valigetta cos’è? Perché se la prende con la donna? Questo non è il tizio di prima? Ma lui perché ce l’ha con lui? ecc. ho mollato. Mi sono messa a pensare alle Silly Simphonies Disney e la vita mi ha sorriso.
Il primo giorno si conclude così. A letto.
Glisso il film delle 9.15 (pensare di mettere la sveglia pure in vacanza è FOLLIA) e vado al film delle 11.30, che è...
THE LADY SHOGUN AND HER MEN
Fuminori Kaneko, Giappone, 2010
Ecco. Diciamo che io, pur essendo nipponista e jappofila fino al midollo, ho una sorta di avversione per i samurai e il feudalesimo giapponese, di cui, detto inter nos, non me ne frega un beneamato. Proprio zero, anche (soprattutto) perché tolti i grandi maestri tipo Kurosawa Iddio lo abbia in gloria, non c’è modo di fare un film decente sull’argomento, una cosa che non sembri una telenovela di quart’ordine girata a Cinisello Balsamo. Questo non fa eccezione. In un passato immaginario gli uomini sono morti quasi tutti per un’epidemia selettiva (…) e lo shogun è una donna. E ha un harem di maschi. Bof. Il protagonista è il più sfigatello ma di buon cuore bla bla NOIA finché PUFF! il film si interrompe a metà per problemi tecnici. Aspettiamo dieci minuti, ci guardiamo e via! Più tempo per pranzare!
Dopo esserci in ogni caso ingozzati di corsa, entriamo a vedere...
SEASIDE MOTEL
Kentaro Moriya, Giappone, 2010
Il regista è in sala. Accolto da ovazione, viene presentato come “il Tarantino giapponese” e ho già i sudori freddi. Il film pare in effetti un Four Rooms nipponico, alberghetto squallido fuori dal mondo e quattro storie che si intrecciano, con pretese di pulp e humour nero. Uhm. Roba moderna anche qui, eh? Uh, il pulp! Chissà dov’è stato il regista negli ultimi 18 anni.
Ok, d’accordo. Il film ha qualche trovata simpatica (ma a dire il vero non ne ricordo neanche una) e ce la mette tutta, ci mette il venditore porta a porta e la prostituta dal cuore d’oro, il vecchio che vuole tradire la moglie, il porco che ci prova con la fighetta, anche i killer (!!) che devono far fuori il socio traditore. Peccato che ci metta anche la Noia, il Giavvisto e lo Sticazzi. Ho oscillato pericolosamente tra 2 e 3 a ogni cambio di scena, finché alla fine, dopo sette finali diversi, ho deciso per il pugno di ferro.
Senza troppa convinzione usciamo e rientriamo in un lampo per tentare di tirare su la giornata con...
CYRANO AGENCY
Kim Hyun-seok, Corea, 2010
E la giornata si risolleva! E io che non gli davo una lira, ma sempre dare fiducia alla Corea, sempre! Cyrano Agency è un film sbilenco e casinaro come norma coreana impone, ma ha un’idea di fondo carina: una compagnia teatrale spiantata ha un’agenzia che serve a far innamorare le persone, cioè aiuta quelli che hanno bisogno di aiuto per conquistare l’amato/a. E voi direte gazie al ca, è la storia di Cyrano! E infatti! Chi ha detto che non si possono usare storie già scritte per farne delle ALTRE belle storie? Qui l’agenzia dispone di mezzi sofisticatissimi e l’intero mondo teatrale è messo a servizio del cliente. Scenografo per le scene da ricostruire, sceneggiatore che scrive i dialoghi (e li detta nell’auricolare), tecnici audio e video, regista a coordinare tutto. Ed è subito metacinema, quant’è bello il metacinema! Il romance si fonde con la commedia e a dire il vero la tira un po’ troppo per le lunghe, ma esco appagata.
Invece della cena ci tocca la Cina, perché alle 20 c’è la proiezione di...
UNDER THE HAWTHORN TREE
Zhang Yimou, Cina, 2010
Ecco il filmone. Nel senso di registone attesone sala pienona di gente venuta anche dalla provincia (!) Premetto che la cinematografia cinese è quella che digerisco meno, non ne so quasi nulla (dello stesso Zhang ricordo ehm, a stento un paio di film) e in genere la Cina sforna, per quel che ho potuto vedere io, mattonazzi senza fine che ti fanno a brandelli il sistema nervoso. Però che fai, non vedi il filmone attesone? Te lo vedi e zitto. E ti commuovi anche. Sorta di opera neorealista cinese (esiste un film cinese che non sia neorealista?) ambientato durante la rivoluzione culturale di Mao (che di culturale aveva ben poco), è la storia d’amore di due ragazzi, delle loro famiglie messe in ginocchio dalla repressione comunista, del clima di terrore che regnava in Cina in quegli anni (i favolosi Sixties) e degli stratagemmi che i due inventano per incontrarsi. Detta così fa scappare a gambe levate, ma vi giuro che vedere nel 2011 un film in cui il massimo che un ragazzo osa è dare la mano alla ragazza o portarla in bicicletta ha un che di ipnotico.
Quando le dà un bacio sulla guancia arrivi a scandalizzarti, giuro. Io mi sono data di gomito con la mia comare di visione, urlando (sottovoce) NOOO!! MA CHE FA?!? PAZZO!!! A parte questo la protagonista, scelta tra migliaia di candidate, è di una bravura mostruosa e la storia è girata da dio, semplicissima e linearissima, ti tiene incollato. Asciutta e dura come le pietre nei fiumi secchi. Credo che la mano di un grande regista si veda in questo. Chevvelodicoaffà, finisce in tragedia, e giù tutti a singhiozzare.
Rientriamo in sala di corsa per l’ultimo film di oggi, che è...
HAUNTERS
Kim Min-suk, Corea, 2010
Ed ecco il botto! Vincitore morale del festival per me. Il degno erede, a parer mio, di quel The Host che ci fece spellare le mani nel 2007. Ma andiamo con ordine. Il regista è in sala e presenta il film, età indefinita tra i 25 e i 40. È simpatico, imbarazzatissimo e fa battute sceme. Dice “è il mio primo film, non è un granché, ma grazie per essere venuti”. Alla fine farà un bagno di folla (anche la sottoscritta, in preda al delirio, andrà a farsi autografare il catalogo). Il film. Ecco, questo film non può essere visto e criticato seguendo i canoni occidentali, è al di là dei generi e dell’estetica che conosciamo, è un’altra cosa. Non sto dicendo che sia un capolavoro o un’opera imperdibile, dico solo che è l’esempio perfetto di come il cinema orientale (coreano, ancora una volta, nello specifico) abbia un’altra grammatica, che noi da questa parte del mondo non abbiamo studiato e che quindi facilmente cataloghiamo come trash, o cinema di serie B. Tutt’altro. Haunters è tutt’altro che un film di serie b, anche se la trama si sbrodola man mano che va avanti, anche se se ne frega di qualunque regola di sceneggiatura classica, anche se tocca tutti i generi possibili facendone un minestrone senza senso, anche se è zeppo di ironia involontaria (?), anche se i protagonisti sembrano degli idioti e agiscono in maniera incomprensibile.
La storia di base è: scontro tra due superuomini, uno (il “cattivo”) dotato dalla nascita di un potere che gli permette di manipolare le menti solo con lo sguardo, l’altro (il “buono”) praticamente indistruttibile e immune alla manipolazione. Il buono capita per caso sulla strada del cattivo, che uccide persone a lui care per rubare dei soldi. Da qui in poi è guerra. Ma guerra senza se e senza ma, trascinata fino all’estremo e contornata da situazioni grottesche che sfiorano il comico, come i due migliori amici del buono, ovvero un turco e un ghanese (!!) che lo aiutano a fabbricare armi assurde. Action, dramma, thriller psicologico e commedia grottesca, con condimento di esplosioni, sangue a fiumi, inseguimenti, sparatorie, poteri ESP e personaggi macchietta.
Non si ferma mai, quando pensi ok basta che altro può succedere? continua e va oltre, quando pensi no ma questo non ha senso, arriva qualcosa che ha ancora meno senso, quando pensi ok è troppo lungo così non finirà mai, ti rendi conto che potrebbe sul serio non finire mai. È un fumettone da esaltati, l’opera prima di un nerd divertito che sa il fatto suo, che infatti per il cattivo si rifà in più di un dettaglio a quel L di Death Note ormai in oriente icona di culto. Un’opera prima imperfetta ma fulminante, da ovazione finale per il “troppo” che riesce a sfornare e per le barriere e gli stereotipi (di qualunque tipo) che riesce a sfondare, fregandosene allegramente. Per alcuni può essere uno zero, per me è stato un dieci.
Sveglia con calma e ci vediamo il film delle 11.20, che è...
CHICKEN AND DUCK TALK
Clifton Ko, Hong Kong, 1988
È l’unico film che riesco a vedere della retrospettiva Asia Laughs! dedicata alla commedia orientale. Cioè, “commedia orientale” per noialtri ricorda vagamente Bombolo e company, ma tant’è. La star del film è Michael Hui, padre della commedia hongkonghese e guest star del festival, che si è beccato il premio alla carriera. Il film è una cosa demenziale d’altri tempi, girata con quattro soldi ma genuina e che strappa più di una risata, in un modo o nell’altro. Tratta dello scontro tra due ristoranti dirimpettai ad Hong Kong, uno tradizionale di anatre arrosto (gestito da Hui mattatore) e l’altro una sorta di KFC modernissimo con capi cattivissimi. Finiscono a farsi la guerra, anatra e pollo, con trovate che più demenziali non si può. Sorpresa, nella parte della moglie di Hui la bellissima e allora giovanissima Sylvia Chang, vista la prima sera in Buddha Mountain (era la signora che ospita i ragazzi). VOTO: n.c. (fuori concorso)
La scena più bella di Michael Hui l’ho vista io in piazza poco dopo, mentre mangiavo il gelato. Davanti a me e lontano da tutti, nonno Hui che gioca a rincorrersi con la nipotina di tre anni, sempre presente con lui alle proiezioni. Purtroppo quando ho cominciato a riprendere avevano smesso di correre. Applausi.
Il film successivo è giapponese, THE LIGHTNING TREE di Ryuichi Hiroki. Trattasi di “elegante melodramma in costume che rielabora la storia di Romeo e Giulietta” (come da catalogo). Io, forte della mia avversione per i samurai nonché della mia solita spocchia, decido che fa schifo e piuttosto che vedere 133 minuti (!!) di melodramma in costume preferisco vagare per Udine senza meta. Ahah! me ne vado ridendo mentre una coppia di amici entra in sala. Li ribecco la sera ed esce fuori che è UN CAPOLAVORO, una cosa perfetta, eccezionale, non è come pensi, veditelo assolutamente, se potevo votavo 6. Bene, perfetto. Brava Alabama, che fiuto. Ancora ignara del madornale errore, entro in sala per il film del pomeriggio, che è...
RAKENROL
Quark Henares, Filippine, 2011
Un film filippino vado a vederlo a prescindere. Ho ricordi di FEFF passati con film filippini esilaranti. Se ci metti pure che il titolo sarebbe la traslitterazione di rock n’roll, va da sé che le aspettative sono altissime. Errore. Alabama oggi non ne imbrocca una. Sorta di The Commitments filippino, tratta dei sogni di gloria di una band giovinastra indie rock, in cui la cantante e il chitarrista sono amici d’infanzia, lui da sempre innamorato di lei, lei non se ne è mai accorta, lui è troppo timido e la vuole proteggere, lei si mette con la rock star stronza, lui se la prende inderposto, finché alla fine… bla bla bla. Poteva essere un 3, ma la tira immensamente per le lunghe ed è davvero troppo scontato, tutto.
Regista in sala, scatenato. Lo ignoro e fuggiamo sui titoli di coda, divorati dalla noia.
Cena ancora di corsa, per poi entrare a vedere...
LOVER’S DISCOURSE
Derek Tsang e Jimmy Wan, Hong Kong, 2010
Oh, che bello, finalmente! Un film sull’ammmore con molte storie intrecciate con più fili, che però finiscono quasi tutte male! Basta con l’amore a lieto fine, quale sarà la percentuale storie andate bene vs. storie andate male nel mondo? Secondo me una su venti. Comunque. Una straordinaria opera prima (!) che pur giocando sulle “solite” vicende (tradimenti, amori passati che tornano, amori immaginari) lo fa con sguardo disilluso e a volte cinico, mai sottomesso alla logica del lieto fine. Non ci siamo più abituati. Ma la mia nuova politica in tema di film è “unhappy end is the new happy end”, quindi grande empatia e grande applauso finale. L’intreccio inoltre è svolto (nel vero senso della parola, come si scioglie un gomitolo) con acume e mai tirando via, sempre mantenendo viva la curiosità su come andranno le cose. Attori intensi e ottima colonna sonora. Non so perché non gli ho dato 5, forse per mantenere il pugno di ferro, ma ora vorrei proprio il dvd.
Io e il mio compare salutiamo la coppia di amici che se ne va e ci mettiamo in coda per vedere CONFESSIONS, film da me qui già recensito, che ero ansiosa di rivedere. Senonché succede l’imponderabile e la sottoscritta ehm, nella foga di prendere i posti...
...inciampa...
...cade...
...e si rompe il naso.
Qui la cronaca degli eventi per chi volesse ridere.
L’edizione numero 13 del FEFF, corredata da corna e simboli scaramantici sparsi ovunque, catalizza la sfiga su di me, che faccio da parafulmine in piena tempesta.
Dopo una nottata al pronto soccorso, indomita e col naso incerottato, torno al festival per gli ultimi due film...
NIGHT FISHING
PARKing CHANce, Corea, 2011
Recuperato per il rotto della cuffia in sala media, cioè me lo vedo sullo schermo di un mac con le cuffie, tanto dura solo 33 minuti. Il regista usa un bislacco pseudonimo ma altri non è che l’arcinoto Park Chan-wook, (per capirsi, quello di Old Boy) che gira il film insieme a suo fratello e con un iPhone 4, cosa che potrebbe far gridare al miracolo se non fosse che gli iPhone usati sono otto, attaccati a teleobiettivi supersonici, e il risultato prodotto è stato poi pesantemente ritoccato in fase di postproduzione. Quindi chiamiamo le cose col loro nome, Manovra di Marketing. Non è che adesso prendete l’iPhone e diventate registi coreani pluripremiati.
Ma a parte questo, parliamo del film, anzi mediometraggio, che inizialmente sembra un banale esercizio di stile ma pian piano cattura. Nella prima parte un pescatore notturno pesca una donna e ne rimane terrorizzato. Nella seconda parte si capisce che la donna è una sciamana, che collega l’uomo (morto) al mondo dei vivi, per farlo parlare con moglie e figlia. Certo, durasse due ore sarebbe un supplizio, ma in mezz’oretta i riti coreani sciamanici diventano una cosa suggestiva e pittoresca. VOTO: n.c. (non avevo il cartoncino)
Ma a parte questo, parliamo del film, anzi mediometraggio, che inizialmente sembra un banale esercizio di stile ma pian piano cattura. Nella prima parte un pescatore notturno pesca una donna e ne rimane terrorizzato. Nella seconda parte si capisce che la donna è una sciamana, che collega l’uomo (morto) al mondo dei vivi, per farlo parlare con moglie e figlia. Certo, durasse due ore sarebbe un supplizio, ma in mezz’oretta i riti coreani sciamanici diventano una cosa suggestiva e pittoresca. VOTO: n.c. (non avevo il cartoncino)
Ultimo film!
NIGHT MARKET HERO
Yeh Tien Lun, Taiwan, 2011
Anche al film taiwanese una possibilità gliela si dà, assolutamente. Baraccone colorato e casinaro ambientato in un mercato notturno che rischia la chiusura. Mille personaggi che si stenta a distinguere l’uno dall’altro (razzismo gratuito di Alabama) che fanno a botte, si amano, litigano, imbrogliano, rimorchiano, urlano, si rubano i clienti ecc. tutto molto rumorosamente. Alla fine dovranno battersi contro il palazzinaro di turno che vuole radere al suolo il mercato perché ha dimenticato le sue origini, ma qualcuno gliele farà ricordare… Mah, a tratti divertente e sicuramente sincero, ma troppo lungo (124 minuti!!) e l’interesse man mano scema.
Dovevo dargli 2 ma poi per simpatia mi sono lasciata andare.
Palmarès finale:
AUDIENCE AWARD (Gelso d’oro)
AFTERSHOCK di Feng Xiaogang, Cina
(C&B l’ha appena buttato nell’indifferenziata, voleva che lo vedessi io ma non ce la faccio, la faccenda terremoto mi ha, ehm… scosso. Ma se ha vinto è sicuramente bello.)
2) UNDER THE HAWTHORN TREE di Zhang Yimou, Cina
(l’avevo detto che era bello!)
3) HERE COMES THE BRIDE di Chris Martinez, Filippine
(un film filippino!! vedete?! avevo ragione!!)
BLACK DRAGON AUDIENCE AWARD (Gelso nero)
(che sarebbe il film più votato dagli spettatori con accredito Black Dragon cioè quello che costa 120 euro per sostenere il festival e ti dà diritto al posto fisso col nome in platea e vari altri cotillons)
CONFESSIONS di Tetsuya Nakashima, Giappone
(i black dragon la sanno lunga, bravi!)
[E ci vediamo al FEFF 14! Alabama]
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