Melancholia
Trama: Il futuro è un pianeta che ci viene addosso.
Il cinema di Von Trier non risponde a molti dei canoni a cui siamo abituati. Von Trier è sempre stato uno di quegli autori che - a parte che o lo ami o lo odi - ha sempre dato l'occasione ai critici di scrivere tante di quelle cazzate che a metterle in fila una dopo l'altra arrivi sulla Luna. Basterebbero i primi cinque minuti di Melancholia per poterci scrivere un primo (di tre) volume alto così.
Quindi, avvertimento, quello che sto per scrivere potrebbe, in definitiva, rivelarsi ai vostri occhi come una gran sequela di cazzate. Credo dipenda più da voi che da me.
E partiamo quindi proprio con i primi cinque minuti, il prologo. Un prologo fatto di fotografie (pop) surreali in movimento (micromovimenti) tanto statiche e al tempo stesso cinetiche che farne delle gif animate sembra una conseguenza obbligatoria:
E la bellezza di tali immagini, e anche la sola loro ragione di essere, ti saranno chiare solo alla fine del film. Intanto però le porti come bagaglio immaginifico per tutta la sua durata. Se non si fosse già capito, Melancholia è uno dei più bei film del 2011 (e preso dall'entusiasmo del giorno dopo, oserei dire il migliore), di certo Cinema.
Von Trier ci accoglie con queste instantanee formali, quasi dei diorami dalla fotografia perfetta, misteriosi e dal significante formale palese: ci vuole dire qualcosa. Ma cosa? Non sarà mica un mero esercizio di stile di quel nazistello depresso per farci vedere che sa dove mettere le luci? E così rimani per tutta la Prima Parte (il film è diviso in due parti, distintissime, divise anche da diapositive di presentazione; quasi due mediometraggi uniti tra di loro, che in comune sembrano avere solo una manciata di personaggi, e invece...).
La lunga prima parte, scene da un matrimonio che tanto ricordano quel Festen, ispirato proprio ad una delle invenzioni di Von Trier (quel DOGMA che a me è sempre stato qui, "stilato" da Von Trier e tanto intelligentemente abbandonato lasciando gli altri a farne film). Un matrimonio consumato in quella che sembra una totale depressione, anafettività, isteria (non solo della sposa). Kristen si aggira spaesata e riflessiva, triste come solo lei sa essere, con quegli occhi constantemente velati di malinconia (appunto) da vergine suicida, bionda, algida, eterea. Intorno l'affastellarsi di caratteri più o meno delineati: un padre sfuggente, un novello marito bello ma stupido, una madre repressa, una sorella protettiva e forse un po' gelosa. E la domanda, per tutto il tempo, è una sola: perché? Perché Justine si sta sposando? Perché si è sposata anzi. Con qualcuno che evidentemente non ama. Ma Justine può amare? E il suo totale disinteresse per il futuro, è solo apatia? Depressione? Insoddisfazione? Addirittura solo noia e troppa richezza?
Sembra, e te l'aspetti, che da un momento all'altro debba arrivare la tragedia, la classica scena che ti scortica la pelle. Quella scena non arriva mai. Arriva invece la Parte Seconda.
La seconda parte è un altro film. Le due sorelle si ritrovano nella stessa magione in cui si è consumato il matrimonio (tra l'atro una location incredibile), un matrimonio concluso con lo sposo che se ne va spaesato la mattina dopo, senza aver consumato, anzi col tradimento sospettato (che c'è stato davvero), non certo un matrimonio felice. Ritroviamo Justine (la Dunst) ancora più conciata, riesce a malapena a muoversi, come ci fosse un peso invisibile che la trattiene a terra, che le blocca le gambe, la gola, la gioia. Di contro, la sorella, Claire (Charlotte Gainsbourn), madre di famiglia e moglie. Madri, mogli, sorelle: Von Trier non ha mai risolto il suo rapporto con la femminilità. Non c'è un singolo film di Von Trier dove il femmineo non sia da una parte esaltato (sempre protagoniste donne e sempre donne che ti distruggono l'anima, dalla Watson de Le onde del destino, a Bjork in Dancer in the dark, fino all'infibulata Gainsbourg di Antichrist; essere scelta come protagonista da Von Trier deve essere la cosa più importante e al tempo stesso spossante che può capitare ad un'attrice) e dall'altra vilipeso, psicologicamente annientato. Peggio ancora va per gli uomini, constantemente inetti, intontiti, pigri e catastroficamente vigliacchi e vili.
La seconda parte di Melancholia è un film catastrofico. Armageddon, ma nella testa di Von Trier. Ed è bellissimo. Immanente, inesorabile, formalissimo ma mai rococò. Il picco più alto della sua filmografia (per cui non ho mai gridato al miracolo, ma che innegabilmente dimostra che Von Trier ha un talento grande come un pianeta, che ti viene addosso e ti annienta). Proprio questo stupisce (o forse per nulla): pensare che Von Trier abbia deciso di raccontarci la sua fine del mondo (più depresso di così), prendendo l'idea di mille e mille blockbuster americani (la Terra minacciata da un pianeta fino a quel momento nascosto dietro il Sole che ora si avvicina e, anche se gli esperti assicurano il contrario, potrebbe impattare con il nostro pianeta, la nostra casa, noi, che non possiamo fuggire) e lo abbia fatto con tutti i crismi richiesti da un film catastrofico (effetti speciali compresi) ma con una poesia, un'introspezione e un senso di ineluttabilità che, come dire, gli yankees se lo sognano.
E il sogno, la visione, le immagini dell'incipit formale, ora assumono un significato tutto nuovo. Capiamo cos'erano, capiamo la Dunst, vediamo il peso che l'atterriva, comprendiamo il suo totale disinteresse per il futuro. Come avere interesse per qualcosa che non c'è? Lei ha già visto. La consapevolezza e l'attesa è la sola cosa che le rimane. E proprio lei, un personaggio fino a quel momento debole (o comunque disturbato) che sembrava solo distrutto da un'insondabile depressione, si ritaglia la purezza e l'innocenza in un'ultima definizione di un Destino ormai inevitabile, e la racchiude in una frase atroce e atrocemente vera che riassume (anche se non lo vogliamo ammettera) la Verità:
La seconda parte di Melancholia è un film catastrofico. Armageddon, ma nella testa di Von Trier. Ed è bellissimo. Immanente, inesorabile, formalissimo ma mai rococò. Il picco più alto della sua filmografia (per cui non ho mai gridato al miracolo, ma che innegabilmente dimostra che Von Trier ha un talento grande come un pianeta, che ti viene addosso e ti annienta). Proprio questo stupisce (o forse per nulla): pensare che Von Trier abbia deciso di raccontarci la sua fine del mondo (più depresso di così), prendendo l'idea di mille e mille blockbuster americani (la Terra minacciata da un pianeta fino a quel momento nascosto dietro il Sole che ora si avvicina e, anche se gli esperti assicurano il contrario, potrebbe impattare con il nostro pianeta, la nostra casa, noi, che non possiamo fuggire) e lo abbia fatto con tutti i crismi richiesti da un film catastrofico (effetti speciali compresi) ma con una poesia, un'introspezione e un senso di ineluttabilità che, come dire, gli yankees se lo sognano.
E il sogno, la visione, le immagini dell'incipit formale, ora assumono un significato tutto nuovo. Capiamo cos'erano, capiamo la Dunst, vediamo il peso che l'atterriva, comprendiamo il suo totale disinteresse per il futuro. Come avere interesse per qualcosa che non c'è? Lei ha già visto. La consapevolezza e l'attesa è la sola cosa che le rimane. E proprio lei, un personaggio fino a quel momento debole (o comunque disturbato) che sembrava solo distrutto da un'insondabile depressione, si ritaglia la purezza e l'innocenza in un'ultima definizione di un Destino ormai inevitabile, e la racchiude in una frase atroce e atrocemente vera che riassume (anche se non lo vogliamo ammettera) la Verità:
E arriva un'alba di un giorno dopo che non esiste. L'ultima alba dell'umanità, protetti da un grembo ancestrale, tanto inutile di fronte al cosmo, quanto intimo, privato, famigliare.
La fine del mondo secondo Von Trier, in uno dei film che difficilmente scorderemo, di certo uno dei migliori visti quest'anno. Capace di importi una riflessione che va oltre a quella divertita e mattacchiona che fai quando vedi le scene d'isteria collettiva e di gente che scappa dai terremoti e dal ghiaccio dei film catastrofici americani e ci ridi su. Von Trier ti blinda una domanda in testa: "Cosa faresti tu, se alzando gli occhi vedessi un pianeta che ti viene addosso?".
Ci ho pensato. Forse l'ho anche sognato. Io forse mi metterei seduto e mi vedrei un film (quale lo tengo per me) e poi uscirei di casa per vedere l'alba. E vi rigiro la domanda: se domani fosse l'ultimo giorno della Terra, voi che film vedreste?
Oddio oddio non posso leggere troppo per non "rovinarmi" la visione, ne riparliamo doppo il 21 ottobre :)
RispondiEliminaLa domanda finale è quella da un milione di dollari. Io così a bruciapelo, senza pensarci, appena l'ho letta ho pensato "True romance".
Lo so che è folle, ma i motivi li tengo per me :)
Mi ha quasi commosso il post... devo vederlo!
RispondiEliminasono andato al cinema stasera, ho visto il trailer, aspettavo che uscisse da quando l'hanno presentato al festival. per il film, ci penso e poi ti dico
RispondiEliminaLazyDog
Ok ho pianto con il film a differenza del mio compagno "The Situation"... e abbiamo anche litigato: per la serie cosa faresti se dovesse succedere? Io avevo una versione e lui un'altra, in poche parole uno scontro tra titani!!!
RispondiEliminami sono reso conto cheho detto tanto, troppo, forse tutto del film
RispondiEliminanon me ne vogliate, è stato l'entusiasmo...:)
VEDETELO!
voglio sapere: che fareste?!?!!
RispondiEliminae che film vedreste (lo richiedo a TUTTI!)
RispondiEliminacercherei di godermi il più possibile ogni ultimo singolo istante che rimarrebbe
RispondiEliminaLazyDog
si ok ma che film vedresti?! :)
RispondiEliminacredo (credo) che mi ri-vedrei i filmini fatti con i miei amici negli ultimi 10 anni, quelli non ancora montati, con le scene fatte e rifatte o buona la prima, con i commenti fuori campo, le inquadrature storte e tremolanti, quando ancora non c'era melancholia.
RispondiEliminaLazyDog
Mamma mia che domanda....
RispondiEliminaPartendo dal presupposto che quella di guardare un film sarebbe l'ultima cosa che mi verrebbe in mente, se per ipotesi scegliessi di farlo guarderei:
"The Breakfast Club" e contemporaneamente mangerei: pane e salame, pane e gorgonzola, pane e prosciutto crudo, pane con maionese e patatine rustiche tutto insieme che scrocchia quando mordi, pizza del giorno prima fredda (preferibilmente margherita o capricciosa), olive, lasagne e pane per dessert. (Preferirei la ciabatta - non so se a Roma si chiama così - bella croccante e areosa).
l@zy: bella risposta cazzo. :)
RispondiEliminaboz: ma dai! breakfast club!!! ?? heha
il cenone tipo ultima cena ci sta tutta!!!
grazie CeB, detto da te mi fa onore =)
RispondiEliminaLazyDog
Io filmini li ho fatti solo con il cellulare, niente di esaltante e poi piangerei tantissimo, invece voglio morire con la speranza che le cose possano cambiare... e poi con la mia piccola non so se riuscirei a guardare nulla (forse la Pimpa che le piace tanto).
RispondiEliminaa proposito di filmini giusto un mese fa mio zio mi ha portato un filmino recuperato chissà dove dove c'era mio nonno (che non ho mai conosciuto) e lo vedevo "in movimento" per la prima volta. strano.
RispondiEliminavabbè cose private a gogo :D
cmq vecchi filmini vincono.
yeah!
RispondiEliminaanche a me ha entusiasmato parecchio
sul podio di tu sai cosa...
RispondiEliminaHo tre risposte.
RispondiEliminaLa prima più zuzzurellonamente egotica mi godrei il film più bello che non mi stanco mai di vedere, d'ascoltare, di sentire, quello che ritrae la mia vita.
La seconda è "La grande abbuffata" di Ferreri. Ma mi prendo il beneficio di revisione della scelta e comunque solo potendolo vedere mangiando, partizione di un'unica ultima più grande festa.
La terza è che non penso vedrei alcun film.
A presto.
A.
Ps. Questo film è un'eclissi totale, in cui i sensi hanno solo il tempo di smarrirsi. E forse è questo il significato di ultraviolenza.
Tutti insieme appassionatamente.
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