Mentre C&B si guarda i film a casa (e a caso soprattutto) sbracato sul divano, c’è qualcuno che si immola per la causa e parte alla volta di qualsivoglia festival esistente sullo stivale (e non) solo per l’effimera gloria di postare delle recensioni. Quel qualcuno sono io (Alabama) e MAGARI qualsivoglia festival. In realtà è stato un colpo di fortuna a portarmi al magnifico Torino Film Festival, per soli due giorni ma come dire… intensi.
Oddio, magnifico… organizzazione carente (niente a che vedere con il FEFF di Udine) ma programma superbo, con circa sessanta aiutami a dire sessanta film AL GIORNO tra concorso, sezioni parallele e retrospettive. Attirata dalla rassegna mandorlata sul regista giapponese Sion Sono ho finito col vedere (ovviamente) molti più film, e ho desiderato fortissimo il dono dell’ubiquità.
TATSUMI (di Eric Khoo, Singapore, 2011)
Uno dei film per cui mi sono precipitata a Torino, perché quando il manga chiama Alabama risponde! Tatsumi è l’omaggio cinematografico alla vita e alle opere di Yoshihiro Tatsumi, pioniere del fumetto giapponese nato nel 1935, colui che per primo diede essenza, corpo e carattere al cosiddetto “manga per adulti”, non nel senso di pornazzo ma nel senso di storie adulte non rivolte a un pubblico di ragazzini.
Nel 1957 Tatsumi conia il termine gekiga (immagine drammatica) per definire al meglio la sua produzione, che si differenzia dal tradizionale manga (immagine comica) per la maturità dei contenuti. Così facendo apre la strada a un tipo di manga alternativo, non mainstream e fieramente libero nell’espressione. Inutile dire quale pilastro della produzione a fumetti rappresenti un autore del genere.
Il film mette in scena, animandone letteralmente le tavole, l’autobiografia di Tatsumi (A drifting life, pluripremiato volume del 2008) mescolata alle sue produzioni degli anni Settanta, storie con protagonisti frustrati che rispecchiavano le sue stesse insoddisfazioni dell’epoca. Ne esce un film d’animazione alternativo, quasi sperimentale (in bianco e nero la vita dell’autore, a colori le sue storie, il tutto animato non in maniera fluida ma “a scatti” proprio come fossero vignette in movimento), narrato da una voce off tanto espressiva quanto struggente. Semplicemente meraviglioso.
È la proposta di Singapore a concorrere per entrare nella cinquina di film candidati all’Oscar per il miglior film straniero 2012.
STRANGE CIRCUS (di Sion Sono, Giappone, 2005)
La retrospettiva su Sion Sono era l’altra cosa per cui fiondarsi al festival. Un autore a dir poco bizzarro, di cui avevo già visto un’opera-fiume a Udine qualche anno fa.
Strange Circus ha come protagoniste tre donne, una madre, una figlia dodicenne e una scrittrice di romanzi, le cui vite si intrecciano e si sovrappongono, al limite del comprensibile. Alla base di tutto c’è il rapporto incestuoso tra la ragazzina e il padre, sorta di mostro perverso che distrugge la vita sia della figlia che della moglie. Diciamo che Sono non ci va leggero in quanto a tematiche, tra i suoi elementi preferiti troviamo le torture, il sangue, le molestie e il travestimento, in una cornice barocca e grottesca dove il rosso prevale sempre.
Ulteriore caratteristica è la lunghezza estenuante di tutti i suoi film, questo di soli 108 minuti che però sembrano 180. Nel complesso però non fai in tempo ad annoiarti perché sei troppo ipnotizzato da una trama che si arrotola su se stessa e dalla sottile demenza di fondo, che rende il tutto meno spaventoso di quanto voglia apparire.
LOVE EXPOSURE (di Sion Sono, Giappone, 2008)
Questa era l’opera-fiume vista a Udine, 237 minuti totali (QUATTRO ORE) per un compendio assoluto di tutti i temi cari al caro Sion. Per sua stessa ammissione si tratta di un B-movie (anzi Q-movie come dicono in Giappone), un inarrestabile fiume in piena di personaggi folli per un film tremendamente pop, con tre giovani protagonisti, emblemi della mancanza di valori e del disagio giovanile. Uno è Yu, in perenne conflitto con il padre prete, che ha l’hobby di fotografare le mutande alle ragazze compiendo spettacolari (e comiche) piroette. Un’altra è Koike, viziata leader della setta Zero Church, che odia gli uomini e ha staccato l’uccello a suo padre. Infine Yoko, figlia dell’ex amante del padre di Yu, eccezionale nelle arti marziali e in rotta con la madre.
La religione è completamente travisata (Dio visto come supereroe e Maria come donna dei sogni), il rapporto genitori-figli a dir poco massacrato (l’incesto è la cosa più leggera che può capitare), la poetica del sangue ostentata quanto più possibile. Personaggi anche qui al limite del demente, cosa che di fatto stempera il realismo e accentua il grottesco. In ogni caso non furono quattro ore buttate, tant’è che a Torino ne ho riviste un paio (poi so andata a dormì, c’è un limite a tutto).
GUILTY OF ROMANCE (di Sion Sono, Giappone, 2011)
L’ultimo film di Sono in ordine cronologico è anche quello con una trama più convenzionale, se così si può dire, trattandosi di un thriller con omicidio iniziale e successive indagini. Tutto ruota intorno alla devota mogliettina di uno scrittore, che annoiata dalla sua vita capita in un giro di film porno e diventa una ninfomane da quartiere a luci rosse. Può succedere a tutti, no? Si ritrova così invischiata nel caso, portato avanti da una detective determinata ma non immune dai segreti… Anche qui la FEMMINA la fa da padrona, Sono ha una palese propensione per i personaggi femminili di spessore contrapposti a uomini incapaci e senza palle, oppure perversi e malati. Comunque un buon film.
Una cosa va detta, che il regista ha di certo una spiccata personalità e idee decisamente chiare su cosa raccontare e come raccontarlo, il che non è da tutti. Durata del film: 144 inuti, dicesi quasi due ore e mezza. Sono Sion, e io sono distrutta (e ringraziate che questo è l’unico gioco di parole che ho fatto con quel cognome fantastico). Già che c’ero…
BAD POSTURE (di Malcolm Murray, USA, 2011)
Nella sezione collaterale “Festa mobile” trovo questo film molto off di un regista classe 1984 (!) già autore di molti spot pubblicitari per marche famose (così leggo nel catalogo, grazie catalogo). Trattasi di spaccato di vita quotidiana nella città di Albuquerque e adesso sfido chiunque a sapere in che accidenti di stato si trova Albuquerque. Il catalogo dice New Mexico, la accendiamo. Be’, dopo questo film so per certo che non ho alcuna curiosità di vedere Albuquerque (però il nome suona bene).
Due amici spiantati organizzano furti e spaccio di erba per sbarcare il lunario, ma uno si innamora della ragazza a cui fregano la macchina. Fine. Tra “furto” e “amore” ci sono scene quotidiane tipo risse, graffiti, sbronze, feste. Tutto molto chill out, molto off, molto anni Novanta, come se ad Albuquerque stessero quindici anni indietro. Il che non mi stupirebbe.
MONEYBALL (di Bennett Miller, USA, 2011)
Ecco, questo era il pezzo da novanta del festival, il film di apertura, con Brad e la sua mandibola sporgente (avete fatto caso che da quando ha fatto Inglourious Basterds gli è rimasta la mandibola così? Fateci caso).
Due ore con Brad e la sua mandibola che parla esclusivamente, e intendo esclusivamente, di baseball. Se tale sport non vi suscita alcuna emozione secondo me potete fare a meno di vedere il film, perché ok, è tratto da una storia vera e ok, è fatto molto bene, ma è davvero molto tecnico, talmente tecnico che rischia di annoiare. Io guarda caso sono amante del baseball (ognuno ha le sue perversioni) e all’ultima scena ero in lacrime, per dire. Però mi chiedo anche: ci provasse un italiano a fare un film del genere sul calcio. Lo sport nazionale. Perché nessuno ci prova? Perché americani + baseball = amore (pensate a L’uomo dei sogni o Ragazze vincenti, per dirne un paio) mentre italiani + calcio = soldibottecorruzionemolotovschifo? Questo sarà sì un film fin troppo tecnico, ma trasuda amore ed emozione anche quando parlano di numeri e basta. In più è la storia di un magnifico beautiful loser, il general manager Billy Beane (nel link l’originale e Brad, identici no?), che nella stagione 2002 sconvolse il mondo del baseball mettendo su con due soldi una squadra di apparenti schiappe basata solo su statistiche e conti, elaborati da un nerd ciccione laureato in economia (interpretato da Jonah Hill, uno che fa film che io non vedo, mentre C&B sì). Billy Beane lo dice, “come si fa a non essere romantici con il baseball?” e infatti di questo si tratta, numeri a parte, la romantica storia di un perdente che non molla, ex bambino prodigio beffato dallo stesso ingannevole sogno americano e troppo disilluso per credere ancora al lieto fine a tutti i costi. Fatelo voi un film così sul calcio. Poi ne riparliamo.
INTO THE ABYSS (di Werner Herzog, USA, 2011)
Herzog è un magnifico documentarista. Non sono la sua più grande fan e di ciò mi dolgo, ma la sua carriera di documentarista è pari a quella di regista di fiction. Quindi eccezionale. Into the abyss è un documentario in cui Herzog intervista un condannato a morte, un ragazzo che con un compare uccise tre persone per rubare una macchina. La cosa sconvolgente, oltre al delitto in sé, è il background di disperazione e disagio sociale che circonda TUTTI i coinvolti, non solo i due assassini (uno senza famiglia cresciuto in orfanotrofio, l’altro con il padre ergastolano) e le tre vittime (madre e figlio facenti parte di una famiglia già decimata da morti assurde, un amico del figlio con una sorella già morta e genitori inesistenti), ma anche un amico intervistato per raccogliere testimonianze (analfabeta e con precedenti penali) e insomma chiunque viene interpellato tira fuori storie di agghiacciante tristezza e desolazione.
Si direbbe che l’abisso del titolo sia l’intero Texas, teatro della vicenda (altro stato da cui possibilmente stare alla larga). Ma Herzog mantiene lo sguardo lucido e imparziale su tutti, esseri umani prima che vittime o carnefici, incluso l’ultimo intervistato, ex guardia carceraria che ha assistito a più di cento esecuzioni capitali e poi ha smesso perché non ce la faceva più, perché ha deciso di vivere meglio “il trattino”. “Cos’è il trattino?” chiede Herzog, e lui risponde “il trattino è quello che sulla tomba sta tra l’anno di nascita e quello di morte. È la tua vita. Live the dash.”
17 FILLES (di Delphine e Muriel Coulin, Francia, 2011)
Il film che ha vinto il Premio Speciale della Giuria è ispirato a fatti realmente accaduti e racconta di 17 ragazze che decidono di restare incinte tutte nello stesso momento. Trattandosi di 17 liceali della stessa scuola la cosa suscita non pochi dibattiti, da accese riunioni genitori-insegnanti a violenti litigi nelle famiglie. Le ragazze, dal canto loro, non hanno apparentemente alcun bisogno di fidanzati o adulti tra i piedi, ma con il procedere delle gravidanze alcuni nodi vengono al pettine.
Un tema delicato trattato con mano sicura, potrebbe essere Juno x 17 nella provincia francese, senza l’ironia degli sceneggiatori americani e con il dono del realismo, questo sconosciuto dalle parti di Hollywoodlandia. Bello, attrici in erba bravissime, sincero nella descrizione dell’adolescenza, con le sue mille insicurezze e la voglia di essere parte di qualcosa di più grande. Ribellione incosciente o lucida controtendenza? Perché le ragazze sono tutte incinte? Cosa le ha spinte a tale decisione? La soluzione è aumentare i compiti? Gli adulti annaspano nelle loro congetture, come sempre.
ATTACK THE BLOCK (di Joe Cornish, UK/Francia, 2011)
Del film che speravo vincesse (e invece ha vinto una roba islandese non meglio identificata) avete già letto l’entusiastica recensione del tenutario.
Unendomi alle grida di entusiasmo riporto qui quello che il tenutario non poteva sapere (GNE GNE!) ovvero l’intervista fatta al regista dopo la proiezione, presente il direttore del festival Gianni Amelio.
D. Come ti è venuta in mente l’idea dei mostri tutti neri e dalle sembianze indecifrabili?
R. Per i mostri ho preso ispirazione dal mio gatto Macy. È un gatto grosso e tutto nero, che visto da determinate prospettive sembra non avere profondità, sembra piatto. Anche i mostri sono bidimensionali, come delle grosse macchie nere di cui si vedono solo i denti.
D. A quali film ti sei ispirato?
R. Alla cinematografia anni Ottanta per ragazzi, quella in cui si mischiavano grandi avventure con elementi di fantascienza. Penso a ET, Critters, Gremlins, tutti film se vogliamo di fantascienza ma declinata in chiave adolescenziale e avventurosa.
D. Come ti sei trovato a lavorare con questi ragazzi?
R. Ho provinato più di 1500 aspiranti attori e alla fine sono molto fiero del debutto che hanno fatto quelli che ho scelto. Prima di iniziare a girare ho fatto io stesso un grosso lavoro di studio del linguaggio, perché volevo che i protagonisti parlassero esattamente come parla un teppistello dei sobborghi di Londra. Credo che anche questa sia la forza del film.
D. Ti sei ispirato anche ai fatti dei London Riot?
R. Il film è stato girato prima dei riot di quest’anno, ma io nella mia vita ho vissuto cinque diverse rivolte di questo tipo, la prima è stata quella storica di Brixton del 1981. Perciò ho cercato di far emergere un problema sociale antico, già esistente e che ciclicamente si ripropone.
D. Hai avuto difficoltà a trovare i finanziamenti?
R. No, devo confessare che avendo lavorato per anni come sceneggiatore e regista televisivo conoscevo già le persone giuste, mi sono mosso “giocando in casa”. È una grande fortuna ma rimane il fatto che ho debuttato come regista di lungometraggi a 42 anni, non sono proprio una nuova leva!
D. Hai anche co-sceneggiato il colossal Tintin e il Segreto dell’Unicorno.
R. Sì, è stata una magnifica esperienza.
D. Come definiresti il tuo film?
R. Se avete visto Super 8 e conoscete 8 Miles, posso dire che il mio film è un Super 8 Miles!
E io sono decisamente d’accordo, mai definizione fu più calzante. Aggiungo anche che chi ha fatto Super 8 dovrebbe prendere esempio, ma vabbè, non riaccendiamo polemiche già estinte. Daje Cornish, sentiremo ancora parlare di te, o almeno è quello che speriamo tutti!
JOANN SFAR (DESSINS) (di Mathieu Amalric, Francia, 2010)
Mossa dal mio animo fumettaro mi sono ritrovata non so come ad assistere a questo mediometraggio incentrato sul lavoro di Joann Sfar, autore di fumetti osannato in Francia e famoso anche in Italia (tra i quattro pezzenti del settore), di cui però sfortunatamente (?) non ho mai letto nulla, perché non è che posso leggere qualunque cosa eh! Di 43 minuti ne ho dormiti 20, complice la levataccia mattutina e il ritmo non proprio incalzante del documentario. Sfar gira per Parigi tutto il giorno con i suoi acquerelli e i suoi blocchi, facendo schizzi al mercato, per strada, al bar, ovunque. Tutto molto bello, grande poesia, grande maestria, ma la REALTA’ dov’è? Uno vede il documentario e pensa ooooh voglio fare il fumettista, guarda che vita di poesia, acquerelli e allegro fancazzismo! Diciamo che Sfar è fortunato, che io sappia non a tutti va esattamente così. Quindi il filmino con te che disegni e la voce che legge i tuoi diari sei pregato di proiettartelo a casa tua, grazie.
[E grazie a tutti per l’ascolto, stavolta sono tornata senza cerotti • Alabama]
La locandina di Guilty of romance è quella coreana e la foto mi pare che non c'entri nulla, per il resto yeh!
RispondiEliminaelamadò e che è? manco un minuto e...
RispondiEliminacomunque allora la prossima volta FORNIRE LOCANDE! :D
poi siccome che per me giapponesicoreanicinesi so tutti uguali non se capisce come cazzo scrivono linkami la locandina e la foto giusta le cambio...
e madonna...certo proprio...;)
però della foto perfetta di Pitt manco bravo eh..maddimete..c'aveva ragione Kevin Spacey..
RispondiEliminaTi attendevo al varco. Come anche adesso :P
RispondiEliminaQui locanda e foto (in basso su Mubi):
http://twitchfilm.com/news/2011/08/new-trailer-for-sion-sons-guilty-of-romance.php
La foto di Pitt è la PRIMA che esce, quindi poche arie please. La prossima volta fornirò tutto. INGRATO! :P
Ah, ho scordato di dire che Attack the block è stato acquistato dalla FILMAURO e quindi uscirà anche in Italia. Ma non si sa ancora quando.
RispondiEliminaoh no...chissà come lo martirizzeranno i doppiatori...i dialoghi da Gears of War di Probs e Mayhem...la mitica: right now i feel like going home locking my door and playing Fifa..
RispondiEliminasperiamo..
bravo chicken broccoli che fai fare il duro lavoro agli altri... :)
RispondiEliminache super post, comunque!
mi unisco all'entusiasmo per attack the block. mentre del baseball, del mascellone di brad pitt e di moneyball mi sa che per il momento faccio anche a meno...
di sion sono ho visto solo l'horror sulle extension per capelli "ekusute", che mi è sembrato una gran figata ed era pure di una durata umana.
gli altri spero arrivino sotto qualche forma anche dalle nostre parti (anche se è più probabile in rete che in sale)
UPDATE:
RispondiEliminaho anche dimenticato di scrivere che MONEYBALL è sceneggiato da AARON SORKIN, già premio oscar per The Social Network.
E infatti candidato ai Golden Globe 2012 e sicuramente in odore di nomination Academy anche quest'anno.
Niente, sto perdendo colpi.
Grazie mille per l'importante contributo! Avanti con la prossima telefonata!
RispondiEliminaBe' era importante.
RispondiEliminaQuel gran pezzo di Sorkin.
Accipicchia, al TFF mi sono sempre trovato bene (le due volte che ci sono stato...) però quest'anno non ce l'ho fatta. Sarà per la prossima (?). Sono Sion lo conosco poco poco ma il fatto che non abbia il dono della sintesi mi crea qualche problema d'approccio. Attack the Block lo devo vedere assolutamente! ciaoo e grazie per questo reportage ;) c.
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