Quando la Notte
Trama: Dolo. Mite.
Una madre raggiunge faticosamente i picchi innevati delle Dolomiti dopo un lungo e sfiancante viaggio in pullman. Viaggiando nel nero pesto di un tunnel dopo l'altro la giovane donna attraversa come fosse un parto doloroso il ventre della montagna, Madre Natura dolente e immobile. Con sè porta un infante di appena due anni, suo figlio, e un bagaglio pesante di speranze represse e sogni infranti, un'intera vita incarcerata tra le stecche di legno di un lettino da bebè.
Sola di fronte all'impervia scalata che è la vita di una giovane donna costretta al prematuro abbandono di una carriera, la protagonista comincia una lenta ma inesorabile discesa verso uno stato d'animo spento, triste, a tratti catatonico. Unici compagni le sue nevrosi e suo figlio che, quasi fosse la rappresentazione terrena del suo male, diventa anche il parafulmine di ogni scatto d'ira, di ogni insoddisfazione.
Fino alla tragedia.
Una notte, assordata dall'ennesimo pianto del piccolo, i muscoli le si tendono in un attimo e in un gesto inconsulto è lei stessa a far tacere il proprio figlio, novella Medea. Finalmente, con davanti il corpicino steso al suolo che pare finalmente dormire, l'agognato silenzio; l'unico rumore che si sente è la neve che cade.
Affittuario di questa tragica casa di villeggiatura (che tanto ricorda le disumane cronache dei giorni di Cogne) è un taciturno uomo del nord, di quelli a cui la montagna sembra aver trasmesso non solo l'antichità delle espressioni ma anche la graniticità dei sentimenti. Freddo, gelido. È anche l'unico ad accorgersi che qualcosa non va, al piano di sopra, che le urla incessanti che tanto lo hanno infastidito nei giorni precedenti sono ora zittite in un mutismo irreale.
La scena è concitata e non si ha il tempo di capire davvero cosa è successo. Forse non si ha voglia di capirlo. L'uomo spacca la porta, prende madre e figlio sulla sua spina dorsale e li porta all'ospedale.
Il bimbo è salvo, ma un segreto immanente ora lega i due estranei in un rapporto la cui profondità prevalica l'attrazione, prevalica l'infatuazione, prevalica persino la ragione.
Ma due vuoti che si incontrano danno vita solo ad un vuoto più grande.
I due non consumano il loro disperato bisogno di amore (fisico, ma prima di tutto spirituale) prima di molti anni dopo, quando la protagonista (ormai superati quei giorni infausti e finalmente madre consapevole e tranquilla di un giovane quindicenne - il bimbo salvato anni prima - e di una piccola bambina) torna nei luoghi innevati dove tanti anni prima quell'uomo taciturno salvò la vita del figlio. E la sua.
La passione trova il modo di ardere, di sciogliere il ghiaccio che ricopre translucido i cuori dei due protagonisti, ma solo per una notte e una sola. Basterà per saldare definitivamente il legame immenso e irremovibile come una montagna che si era formato la notte di tanto tempo prima.
Le interpretazione struggenti e soffocate degli attori, lo sguardo intimo della regista e le sue prese di posizioni quasi iconografiche (l'ultimo incontro dei due, su due seggiovie sospese sopra il vuoto, che vanno però in direzioni opposte) capaci di impattare contro e combattere l'impietosa critica giornalistica, il comparto sonoro, tutto fatto di insinuanti note di piano, fanno di questo film un'esperienza faticosa, trasformano lo spettatore in Sisifo e lo caricano di tutto il peso di quel masso. Si trasformano in un'immensa montagna, superata solo grazie alla speranza di trovare, dietro l'ultimo picco, una valle verde prato con una fonte dove abbeverarsi... peccato che una volta arrivati in cima, ad aspettarci c'è solo una discesa verso l'abisso.
Va bene così, Claudia?
Fino alla tragedia.
Una notte, assordata dall'ennesimo pianto del piccolo, i muscoli le si tendono in un attimo e in un gesto inconsulto è lei stessa a far tacere il proprio figlio, novella Medea. Finalmente, con davanti il corpicino steso al suolo che pare finalmente dormire, l'agognato silenzio; l'unico rumore che si sente è la neve che cade.
Affittuario di questa tragica casa di villeggiatura (che tanto ricorda le disumane cronache dei giorni di Cogne) è un taciturno uomo del nord, di quelli a cui la montagna sembra aver trasmesso non solo l'antichità delle espressioni ma anche la graniticità dei sentimenti. Freddo, gelido. È anche l'unico ad accorgersi che qualcosa non va, al piano di sopra, che le urla incessanti che tanto lo hanno infastidito nei giorni precedenti sono ora zittite in un mutismo irreale.
La scena è concitata e non si ha il tempo di capire davvero cosa è successo. Forse non si ha voglia di capirlo. L'uomo spacca la porta, prende madre e figlio sulla sua spina dorsale e li porta all'ospedale.
Il bimbo è salvo, ma un segreto immanente ora lega i due estranei in un rapporto la cui profondità prevalica l'attrazione, prevalica l'infatuazione, prevalica persino la ragione.
Ma due vuoti che si incontrano danno vita solo ad un vuoto più grande.
I due non consumano il loro disperato bisogno di amore (fisico, ma prima di tutto spirituale) prima di molti anni dopo, quando la protagonista (ormai superati quei giorni infausti e finalmente madre consapevole e tranquilla di un giovane quindicenne - il bimbo salvato anni prima - e di una piccola bambina) torna nei luoghi innevati dove tanti anni prima quell'uomo taciturno salvò la vita del figlio. E la sua.
La passione trova il modo di ardere, di sciogliere il ghiaccio che ricopre translucido i cuori dei due protagonisti, ma solo per una notte e una sola. Basterà per saldare definitivamente il legame immenso e irremovibile come una montagna che si era formato la notte di tanto tempo prima.
Le interpretazione struggenti e soffocate degli attori, lo sguardo intimo della regista e le sue prese di posizioni quasi iconografiche (l'ultimo incontro dei due, su due seggiovie sospese sopra il vuoto, che vanno però in direzioni opposte) capaci di impattare contro e combattere l'impietosa critica giornalistica, il comparto sonoro, tutto fatto di insinuanti note di piano, fanno di questo film un'esperienza faticosa, trasformano lo spettatore in Sisifo e lo caricano di tutto il peso di quel masso. Si trasformano in un'immensa montagna, superata solo grazie alla speranza di trovare, dietro l'ultimo picco, una valle verde prato con una fonte dove abbeverarsi... peccato che una volta arrivati in cima, ad aspettarci c'è solo una discesa verso l'abisso.
Va bene così, Claudia?
[peccato che non sia vero nulla]
Comunque lei voleva che tu guardavi quello nuovo col gruppo musicale.
RispondiEliminaaho, C&B, come scrivi bene! Il film non l'ho visto, l'ho sempre evitato perche' non voglio ulteriori angosce oltre a quelle giornaliere. La trama la conosco all'incirca, ma tu hai fatto una descrizione bellissima e delicata. Complimentoni! Magari Claudia è contenta, ma Alabama qua sopra è un vero mito! Il posto giusto da frequentare, questo blog!
RispondiEliminaHahahahahahahhaaaa :)
RispondiEliminama il pallino è un broccolino minuscolo??? ahahah :DDD lo vedo solo adesso!
RispondiEliminaala: e ma per quello aspetto di vederlo con lei...
RispondiEliminacri: :)... a era uno sfottò? :D comunque non ho capito come siamo passati dal fare complimenti A ME a farli ad Alabama che perlarto non scrive un Tofu & Broccoli DA MESI!
imelda: ohohoh
giulia: sì è un broccolino che sennò claudia se la prende male e invece sto cercando di dimostrarle tutta la mia piacioneria! :D
C&B blogstalker :D
RispondiEliminaquella da mo!!! anzi... a proposito....
RispondiEliminaEhm, ho come l'impressiione che sfottesse anche me...
RispondiEliminati amo
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RispondiEliminaanche io
RispondiEliminama a me o ad alab? o entrambe? possiamo organizzare...
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