Non è proprio lui lui, ma vista l'immonda idiozia (l'immondizia, quindi) a cui ci aveva abituati negli ultimi anni (roba tipo questo schifo, questa zozzeria, questa mostruosità, questa ridicolaggine, questa atrocità), c'è davvero di che andare felici se lo vedi fare quella cosa per cui in tempi andati lo hai amato tanto, quella cosa è recitare.
Il film non esalta, ma neanche delude; sarà che come molti film che si reggono su attori (lo abbiamo visto ieri, ma quello era un caso negativo), anche "diventando Flynn" troppo spesso si scorda le reali possibilità di una storia tanto intensa (perquanto un po' risaputa): un giovane scrittore in erba (ma più che in erba in tante altre sostanze psicotrope) sbarca il lunario come può, finché non finisce in un ricovero per senzatetto, cioè come inserviente non come "cliente". Di contro, suo padre, tassista razzista e misantropo, perso nei suoi scritti (anche lui scrittore più che fallito, di quelli che si porta dietro una lettera di rifiuto di un editore importante perché comunque gli hanno prestato attenzione, un qualche tipo di attenzione) e nelle sue sparate deliranti, capicolla mentalmente e diventa un senzatetto, costretto a trovare ripare proprio dove lavora il figlio e, in preda ai suoi sogni con le ali spezzate il primo e in preda ad un esaurimento più che nervoso il secondo, i due saranno costretti a trovare una forma di rapporto fino ad allore inesistente (comunque questa cose dei padri ad hollywood mi continua a perplimere: dove mi giro vedo padri/figli. Sarò io che ho desiderio di paternità? Avrei detto di avere solo quello di paternalismo).
Gli scontri attoriali tra Robert e Paul Dano (il migliore della sua generazione? Di certo uno che meriterebbe ancora di più di quello che ha... gli auguro tutti gli Oscar del mondo) fanno del film un "vale la pena", non un capolavoro, ma indubbiamente un "vale la pena".
Certo, poi c'è Julianne. Ultimamente ci penso a Julianne, sarà che a 52 anni se ne va a ritirare premi così
che voglio vedere voi a 52 anni ad andare a ritirare premi così voglio vedere. Devo ancora vedere quello dove fa Sarah Palin e vince tutti i premi del mondo, ma intanto l'aspetto al varco qui:
Sempre viva Paul Dano e la sua faccia astrusa. E poi evviva Roberto De Niro che come vedremo presto quando mi degnerò di fare la recensione di Silver Lining Playbook è davvero tornato e forse vince un Oscaraffone.
Succede sempre e poi sempre così, coi biopic (e ne parleremo presto, vero Spilbi?): si prende l'Attore, lo si trucca, veste, imbelletta, insegna a fare l'accento giusto, si insomma lo si fa calare nel personaggio realmente esistito fino alla mimesi e poi, remi in barca che tanto il film al finale ci arriva da solo, che tanto del film si parlerà, volente o nolente, solo e soltanto per "incredibile metamorfosi di [insert nome qui], calato nella parte che pare proprio lui/lei", quindi perché impegnarsi tanto se poi i giornalisti dicono solo "ammappete pareva proprio lui?".
E che peccato sprecare un film su uno dei più grandi registi per davvero (uno con cui lasciatemelo dire sono cresciuto, che mia mamma era fissata con Hitch e ogni tre mesi davano L'uomo che sapeva troppo su Rete Quattro e daje a rivederselo. Parlo di mia mamma imbalsamata, ovviamente...), peccato vedere un filmettino che neanche fosse stato fatto per la TV sarebbe stato buono. E che peccato veniale per gli sceneggiatori andarsi a cercare il periodo più "vendibile" di questi tempi "moderni": il film racconta infatti la realizzazione di Pyscho, anzi senza h, che siccome parla del serial killer Ed Gain (lo stesso pazzerello con il pallino della pelle umana che come tutti sapete ha ispirato Leatherface e un tantinello anche lo stesso Hannibal Lecter, cioè Buffalo Bill per i vestiti di pelle...) allora diventa una cosa "vendibile" al pubblico di CSI e siccome c'è Anthony Hopkins allora c'è subito il link; e siccome oggi anche il mio panettiere conosce i serial killer, e ha paura dei serial killer di panettieri, allora è di certo più facile che raccontare di quando Hitch girò Stranger in a Train o La finestra sul cortile.
Il film ha il pilota automatico tipo da minuto 2:00, unici guizzi un paio di scene in cui Hopkins gigione e ciccione si lascia andare ad un reminder hannibalesco o ad un balletto paffutello. Per il resto la noia regna sovrana, capito, la noia in un film che racconta le gesta del Re del brivido! ...annamo bene.
Oltre a Hopkins mimesi e tutto quanto, la bella figura ce la fa solo Helen Mirrel, che rimane un dannato figurino anche dall'alto dei suoi sixty-something, e quando si mette in costume fa innegabilmente a gara con la burrosa Scarlett Johannson e la muflona Jessica Biel, le altre due attrici del film, la prima francamente trasparente (incredibile a dirsi), l'altra palesemente inutile (facile a dirsi).
Il problema - serio - di questo film è la sua dannata superficialità. La psicologia di Hitchcock era complessa quasi quanto uno dei suoi film, era multistrato, un obeso che se ne andava in giro con il feticismo per le bionde, la passione per il terrore, la fame isterica, un voyerismo più volte dichiarato, uno che faceva film bellissimi e al tempo stesso supercommerciali, genio vero e al tempo stesso uomo d'affari. Uno che tutti i registi di thriller contemporanei ancora citano incessantemente, anche quando non lo sanno. E poi uno che ha fatto mettere un manichino galleggiante di sé stesso alla deriva nel Tamigi per pubblicizzare Frenzy
Be', ha l'ammirazione imperitura di ogni "mad man" odierno... o chiunque lavori con la comunicazione in genere.
Leggetevi, o rileggetevi, l'intervista con Truffaut, tappa obbligata per gli universitari cinefili di tutto il mondo. C'è tanto da imparare, ma proprio tanto. Altro che Shyamalan.
E quindi ennesima occasione sprecata. Ennesimo dispendio di energie e macchinisti, gommapiuma sotto i vestiti di Sir Hopkins e lucidalabbra sui canotti di Scarlett. Nessuna idea, nessuna invenzione. E dire che Hich era l'uomo delle invenzioni. Anche quelle puramente giocose. Mi chiedo se il regista fa una cameo come piaceva tanto fare a Hitch:
L'unico messaggio subliminale che ho visto è la presenza più o meno sfacciata di uccelli in giro per i set, ma che diavolo di spreco: non un guizzo creativo (fare un lungo piano sequenza in un set alla Nodo alla gola?
Giocare con qualche elemento di scena ingrandito o una lampadina nel latte?
Missare il suono e regalarci una citazione da L'uomo che sapeva troppo? Giocare con la duplice natura femminile de La donna che visse due volte? Niente di tutto questo, al suo posto uno stanco biopic hopkinscentrico (e se vogliamo dirla tutta in una prova attoriale molto sotto le aspettative, ma che Hopkins ce lo siamo un po' giocato era dai tempi di Roma che l'avevamo capito)... E come sempre succede al povero Toby Jones (che lo so che non sapete neanche chi è ma in realtà lo sapete perché è tipo il caratterista che lavora più di sempre negli ultimi due anni) ecco che proprio mentre stave per fare l'interpretazione della vita, arriva un altro che gli ruba la scena (ricodate Capote):
Cos'è l'"impossibile" del titolo? Semplicemente tutto quello che accade alla famiglia "investita" (è il verbo giusto) dallo Tsunami che come un regalo poco gradito Madre Natura spedì a tutto il golfo thailandese nel 2004.
Ewan McGregor (ennesimo papà, a dire il vero un tantinello fuori parte) e Naomi Watts (mamma coraggio) - e se vogliamo la coppia non è proprio ben assortita - si ritrovano nel peggiore dei posti possibili, nel peggiore dei momenti possibili, nei peggiori degli indumenti possibili (un pantaloncino corto e una maglietta)... e arriva l'onda. Questa:
E in un'eventualiltà del genere quello che ti può succedere dopo sta solo tra le pagine dei trattati che studiano il Caos, la Religione, il Calcolo delle probabilità... e anche un po' il Culo. Non c'entra più niente quanto sei bravo, quanto sei forte, quanto sei buono, quanto sai nuotare. Non c'entra più niente neanche la natura umana, conta solo la natura, disumana per... natura. Vivi, muori, vivi ma muori, vivi ma non ti ritrovano, muori e ti trovano, muori e non ti ritrovano, tutto alle stesse identiche probabilità: tutto quello che conosci sparisce e il tuo miglior amico, la tua famiglia, tutta la tua vita sono solo un tronco d'albero o un copertone che passano accanto a cui puoi (devi) aggrapparti. Tutte le sicurezze di una vita occidentalizzata spazzate via dal mare. Da tutto il mare che arriva e ti sale sopra.
Il film si concentra (come nel migliore degli apocalittici possibile, racconta il particolare per narrare l'assoluto) su una famiglia di cinque individui ridotti a burattini senza fili dai flutti. Diviso in due sezioni ben distinte, segue nella prima parte i passi nel fango di una madre ferita (Naomi Watts, giustamente candidata all'oscar) e suo figlio dodicenne (incredibilmente non antipatico come quelli dello scorso anno), diventato uomo nell'arco di una ventina di minuti; nella seconda il padre e i due piccoli.
Il film regge per tutta la sua durata, e anche se sappiamo come andrà a finire (la famiglia, veramente reale, protagonista del film è tipo il miracolo vivente, della serie che se come minimo i 3 figli non diventano uno quello che inventa il motore ad aria, un altro quello che debellerà il cancro e il terzo il più grande geologo marino di tutti i tempi, sarebbe davvero un miracolo sprecato) la tensione rimane alta. Sempre, da minuto 1 a minuto 100. La regia è di Juan Antonio Bayona, regista de L'orfanato, e si sente tantissimo il suo trascorso horror: il mare è un "mostro" senza pietà, investe e distrugge: se sei una macchina in metallo e vetro o un uomo in carne e ossa o un albero di rami e liane poco importa, vi macererà e compatterà presto in una sola cosa (emblematica la splendida scena di una Naomi quasi affogata immersa in "ogni cosa")
e ancora di più la deriva "zombesca" del corpo straziato della Watts, che incancrenisce di minuto in minuto. Impossibile credere sia successo davvero, ma altrimenti non ci facevano il film. Gli effetti speciali fanno il resto, le scene in acqua sono tra le più impressionanti e veritiere mai viste e la resa cromatica (marrone, verde, giallo ocra) è assolutamente perfetta, molto più realistica della palette tutta celeste, blu, azzurro scelto da Eastwood in Hereafter, come anche la sua deriva cattofolle, qui invece c'è molto poco di religioso, è più una filmica deriva (!) della Teoria del Caos. E anche la dimostrazione che ci danniamo tanto per costruire i palazzi giganti e le macchine veloci e le dighe e gli aeroplani, poi arriva Mare e spazza via tutto. Ciao ciao essere umano. Certo, a mente fredda viene da pensare che al film manchi la profondità inaudita che avrebbe potuto avere, a volte (ma solo a volte) si rifugia nella lacrima facile, da mall ameriacano, ma, a mente calda, cioè durante la visione del film, vi sarà impossibile non provare tutta l'empatia del mondo per i giovani e spauriti figli (i veri protagonisti del film), e un certo disagio nelle scene subacque, del tipo "meno male che non c'ero", inevitabile pensiero umano. Gli adulti diventano burattini veri, i bambini divantano uomini veri.
Cogliamo l'occasione per fare un po' di OscarPrediction: Naomi (che non vincerà, comunque) se la vede con Jessica Chastain per Zero Dark Thirty (l'ho visto ieri, e ve lo dico, è in pole position, non per meriti legati a questo film, però); Jennifer Lawrence per Silver Lining Playbook (anche questo visto, lei è brava, ma ha tutto il tempo di diventare la Meryl Streep degli anni 2010); Emmanuelle Riva per Amour (vecchie che scopano e vincono oscar); e poi la bambina (non pretenderete che mi ricordi il nome, vero?) per quel film (non pretenderete che mi ricordi il titolo, vero?) che potrebbe essere sul serio l'exploit dell'era Obama.
Trama: Odio ammettere che "colpi da maestro" era lo stesso titolo che era venuto in mente a me.
Ciao, te lo ricordi il Ciebbì sbrigativo scansafatiche quello che fa le recensioni alla cavolo broccolo, rubando tempo e fatica (ma purtroppo non denaro) ad altre cose molto più importanti tipo guadagnare denaro per comprare cose? Eccolo, è tornato, più superficiale e inconcludente che mai, e mi sa che sarà così tutta tutta settimana. E lo sai da che lo vedi che Ciebbì è in modalità "procrastina oggi quello che potresti procrastinare domani"? Dal fatto che schiacciato dal peso specifico dei film che deve recensire (e si va da Django a Lincoln, da Zero Dark Thirty a The impossible) e dalla loro quantità (Indie Game, Hitchcock, Silver Lining Playbook, This is 40, Being Flynn, Ruby Spark...) sceglie di ripartire in pompa magna (!) col più scrausetto e inutile di tutti. Bravo me.
Sarà anche che sto rifacendo la grafica mooolto lentamente - e dovrei anche smettere di parlarvene che sennò creo un'aspettativa altissima poi quando finalmente vi trovate davanti il risultato delusione totale e perdo la metà dei visitatori. Rimaniamo in due, io e te.
Insomma si parte da film di ciccione di menare. In pratica il remake di Warrior, però dove invece di lui:
c'è lui:
contente? Che poi è talmente smaccata l'operazione che addirittura fa una comparsata il protagonista di Warrios, il fratello buono.
Il ciccione in questione è Kevin James, che davvero non capisco come possa avere un qualche seguito, ed è anche uno che, nonostante la sua ciccionaggine, fa sempre ruoli da mezzo"figo", peccato che non lo sia per nulla. Cioè non è tipo Jack Black (che figo lo è davvero, anche per la sua ciccionaggine), no lui tipo che fa sempre quello che rimorchia, che "spacca", sì insomma il figo. Peccato che faccia ridere zero, e sia in definitiva figo zero.
Poi lo so che vi sembra strano che ci sia il Chicken, è che l'ho visto subito dopo un combattimento a mani nude con il capoclasse della IIIb della Scuola Elementare Gian Giacomo Hokuto ed ero un po' provato; sta di fatto che il film mi va di salvarlo per uno di questi due motivi:
1) Perché è la classica storiella del contrasto protagonista/contesto, del personaggio dal cuore d'oro che si mette a fare un cosa stramba a cui non aveva mai pensato per racimolare i soldi per salvare il programma di musica della sua scuola e alla fine vince; un filmetto con le solite spalle (in questo un vecchio vecchio vecchio Fonzie, che peccato vederlo ridotto così:
E alla fine è solo un film che non vuole insegnare niente a nessuno e che nel suo essere totalmente innocuo porta a casa il risultato. Logico che dopo tre secondi netti te lo sei scordato. Come ti sei scordato il secondo motivo per cui lo salvavi.
Ma lo sai chi era veramente ma veramente figo? Ciebbì Fonzie
Niente più che un divertissement. Davvero, una serie in quattro puntate da 20 minuti l'una (durata totale che non fa neanche un film) che ti mangi in una serata, e nulla più.
In effetti, non fossero stati loro i protagonisti non l'avremmo cagata di striscio, ma dato che sono proprio loro, non potevamo esimerci.
Brevemente (non merita che una decina di minuti, questa serie): Harry Potter è un medico fresco di lana e fresco di laurea, russo, che viene spedito in un ospedale nel bel mezzo del nulla. Tre aiutanti con lo spettro dell'eccellentissimo primario precedente e l'ignoranza dei bifolchi che si vanno a curare in quello sperduto ospedale danno vita a siparietti comici e un po' grotteschi a cui il medico implume risponde come può. L'inesperienza fa il resto. Per fortuna dal futuro arriva Don. Ecco, la cosa che regge bene in questo piccolo serial è che l'idea di far convinvere due diverse età dello stesso protagonista (Harry è Don da giovane, Don è Harry da vecchio) viene "ribaltata", mentre di solito assistiamo al vecchio che ripensa al sè giovane, questa volta la parte "reale" è quella di gioventù, e l'?invasione onirica" è quella del sè futuro, ormai medico esperto e pieno di fantasmi, compresi quelli del periodo a cui stiamo assistendo. Capito come?
In pratica il medico/uomo che sarà dà consigli al medico/uomo che era. Fine.
Carino perché non si prende troppo sul serio, ci sono siparietti comici degni del vaudeville quando non del Grand Guignol (sì l'ho letto su Dylan Dog, e allora?!), sangue che sprizza e comicità assurda.
I due attori, nonostante davvero non ci azzecchino l'uno con l'altro (che se tanto mi dà tanto invecchiando si cresce un centimetro in altezza all'anno? La speranza è l'ultima a morire, accanimento terapeutico), se la cavano, a dire il vero più Dan che Don.
Per lo spettatore qualche visione un po' stramboide che forse era meglio risparmiarsi. Provate voi a resistere a Harry Potter che scopa...
...e a Don Draper che si piscia sotto...
Detto questo io attendo come i ciechi attendono la luce la quinta di Mad Men, intanto Daniel aumenta i suoi skills attoriali facendo questo
Ma lui non ci sta! Lui ci crede ancora che il mondo può essere meglio di così. Basta brutterie, basta botte, basta la moglie ubriaca e di botte piena! BASTA! Ora per lui e la sua famigliola felice Liam Naason vuole solo unicorni, arcobaleni and stuff.
Però non ha fatto i conti con quei cattivi degli abitanti dell'Est Europa, che come ricordate ce l'hanno tantissimissimo con Liam Naason perché gli ha ucciso tutti, il fratello di qualcuno, il figlio di qualcun altro, il padre di qualcun altro ancora, il panettiere sotto casa, l'idraulico di fiducia: e quindi per Liam esiste solo terribile vendetta! E siccome che la prima volta gli avevano rapito la figlia e lui non è che se l'era fatta rapire così a buon mercato infatti aveva preso baracca e burattini e delle armi micidiali, le sue manone e i suoi peidoni, ed era andato da solo a sgominare tutta la crimalità rumena, slava, slovacca e anche un po' di quella araba, ecco che i cattivi questa volta si dicono: ma se invece di rapire la sua famiglia che tanto poi lui ci trova e ci fa il culo a stelle e striscie, non rapissimo direttamente lui? La quale sarebbe anche una pensata con il suo senso (di qui, sensata...), se non fosse che il "lui" di cui stiamo parlando è Liam Naason, che avrà pure le manone e i piedoni ma più grande ancora ha il cuore!
Liam che sì, si distrae un attimo e si fa rapire (ma solo perché gli usano il solito vecchio trucco della pistola puntata alla tempia della moglie), ma poi c'ha un rigurgito nazifascista e, coadiuvato dalla figlia che si sarebbe anche un tantinello rotta le palle di tutti questi rapimenti, lo trova nel bel mezzo di una Istanbul da cartolina tutta suk e teiere col becuccio, la di Liam figlia che ha imparato bene dal papà, lei che per far sentire che sta arrivando vicino al covo dove è nascosto il padre inizia a buttare bombe per tutta Istanbul (!) (capito come? loro stanno in collegamento telefonico, papà Liam le dice: butta la bomba e fai cento metri e ne butti un'altra, così io sento dove ti stai spostando. E ai bambini turchi che stavano andando a scuola chi ci pensa? Ora che sono dei carboni ardenti fatti a pezzi dalla bomba della figlia di Liam? Ma comunque buon sangue non mente, alla fine gli apre il sedere a tutti e vi appoggia una bomba a mano sopra, strappa la linguetta, saluta e se ne va. Liam Naason aiuta tutti noi, paladino della causa per un mondo migliore, perché un mondo migliore e non più brutto posto si può. E insomma, come disse quella: "Nell'assurdo dichiarato ci sta", cioè vuol dire che siccome il film è una puttanata sin dalla prima scena, forse anche da prima (cioè davvero una che butta le bombe dai tetti dei palazzi in pieno centro non la fermano a Instanbul) ma anzichennò dalla locandina, ma pure dal titolo italiano che il primo lo chiami in un modo il secondo in un altro meriteresti veramente una visitina da Liam... insomma che t'aspetti? Ibsen? Il codice IBSEN. E in questo film Liam capisce anche che essere padre vuol dire anche accettare che tua figlia metta due metri di lingua in bocca a qualcuno senza che tu necessariamente gli spari in faccia. Certo quando poi tua figlia vuole andare nella discoteca di Istanbul a ballare scatenata questa canzone elegante
un pochino la voglia di dirle: "Non fare troppo tardi che se non sei a casa per l'una vengo ti vengo a trovare e rompo il culo a tutti i DJ di turchia!" c'è. Ma per calmarsi Liam Naason ha trovato un altro vecchio saggio uomo di pace e sapere immenso, Maestro di Mondo Posto Bello che si prende cura dei nostri spiriti spiritosi
Lo ammetto, è diventato troppo facile scagliarsi contro Tim Brutton. Da quell'immonda trasposizione molto poco carroliana in poi (ma forse anche un anticchia prima, basta pensare a Willy Wonka), Tim ha perso ogni fiducia dal sottoscritto (ed è una fiducia che pesa - come la propria lo è per ognuno, ma la mia è un po' più propria delle altre - perché quando qualcuno ha la mia fiducia cinematografica sono pronto a buttarmi nel fuoco per lui (leggi: Spilbi); la questione è che come tanti altri anche io sono rimasto tramortito dalla poesia dark e il romanticismo grottesco che Tim infondeva nei suoi lavori (almeno fino a Sleepy Hollow, l'ultimo bel film di Tim, anche se proprio in quello si iniziavano a vedere le crepe, non troppo creep), insomma, io salvo addirittura Mars Attack! (che in fondo è un film sbagliato sotto molti aspetti).
Poi Tim ha votato il suo Genio al soldo, a Gionni Deppe e le sue smorfie, a Helena Bonham Carter e la sua isteria, alla Disney.
Ma ricominciamo. Tutto è iniziato con la Morte Malinconica del Bambino Ostrica, un libro di disegni e poesie realizzate da Brutton negli anni di gioventù pieno di personaggi strastrani, questi:
Che sono un po' la base di tutta la sua poetica del freak dolce, dell'horror come sfogo, del "i veri mostri sono quelli normali", di queta cazzo di "fiaba dark" che ci ha anche rotto un po' le palle, oggi. E poi venne Edward, ed Edward sì che era un GRANDE personaggio, triste pinocchio e perfetto simbolo dell'adolescenza piena di brutti pensieri e belle pulsioni (e viceversa). E ancora vennero tutti gli altri, sempre splendidi, da Beetlejuice a Jack Skeletor, e noi bambini un po' freak tutti felici di riconoscerci nelle malinconie e negli occhi vuoti.
Ma come recita l'adagio, quanto tempo puoi fissare l'abisso prima che l'abisso cominci a fissare te? Nel caso di Brutton sostituire "abisso" con "denaro", o meglio, produzione per la massa, e l'anima al Diavolo è venduta... ma poi ma magari al Diavolo... qui si tratta del Dio Denaro, di passare dalla genialità alla banalità e far credere ancora a tutti (quelli che ci cascano) che sei geniale per davvero. Funziona un po' anche con le rock band no? Quando poi li conoscono tutti allora a te non piacciono più. Ma qui siamo davvero oltre il mero "a me piaceva da prima". Quindi Tim, mi rivolgo a te come mi fossi davanti, per favore non fare il trasognato che non ci crede nessuno: forse questa sua fortissima banalizzazione è dovuta al fatto che sono esponenzialmente aumentati i mostri reali? Che la società stessa è diventata l'abisso? Che l'orrore serpeggia? Ma. De. Che. Ma che è? Un trattato di spicciola sociologia per dodicenni? La verità è che Tim Brutton è diventato main stream, per la massa. Punto. Per la massa che sono gli Emo, come lo era il Corvo, come lo è Marylin Manson e Lady Gaga col vestito di carne, dietro sempre il soldone c'è. C'è un pubblico di adolescenti suicidi che gli piace la morte e le magliette a righe? Ecco a voi Tim Brutton. Perché ora una ragazzina sedicenne che si sente un po' malaticcia e si mette la matita nera pesante sotto gli occhi e lo smalto smangiato, nero anche quello, al limite viola scuro, non può non conoscere e amare Brutton e dire "scioè. mitico. troppo dark. proprio come me. il mondo è un brutto posto."
E non è solo nostalgia buffona quella che mi fa dire che quando nei miei di 16 anni vedevo Nightmare Before Christmas e mi sentivo un po' malaticcio (e ho anche messo la matita nera, a volte), lui, Tim, era meglio. Mille volte meglio. Non è la mia nostalgia a farmelo ricordare meglio, era davvero meglio. A consolazione penso anche che io ero peggio, ero un adolescente cagacazzi e quindi le due cose trovano un certo equilibrio. Ora sono cresciuto. Ora sono un adulto cagacazzi,
Tim, sai cosa? Perché non ammetti anche tu che dalla realtà, per quanto trasognante e spettinato tu possa essere, non scappi, e neanche dagli Studios, dalle ville a Hollywood, dai tic di Gionni Deppe, dallo star system, non scappi per quanto stramboide tu sia e finisce che diventi un ingranaggio, esattamente quello che non volevi mai essere. Poi va bene così eh! Ma magari ad esserlo il tuo genere di ingranaggio e non chessò, un intercalatore per l'ennesima stagione de I Simpson, ma Tim Brutton, fettene una ragione: sei l'ingranaggio darkettone e sweet-horror dell'industria cinematografica. Period.
ALtro passo indietro. Da dove viene Frankenweenie? Da questo cortometraggio, splendido davvero, uno dei primi lavori strutturati a film di Brutton (già ve l'ho messi ma li rimetto):
e da questo corto, che Brutton realizzò quando ancora lavorava in Disney (scappi dalla Disney, trent'anni dopo ti fai ricomprare dalla Disney. Gira la ruota. Gi-ra-la!):
E, logicamente, dall'amore di Brutton per la stop-motion (questa forse l'ultimo barlume di purezza che gli è rimasto).
Frankenweenie è sbagliato perché fa leva sui soliti animi sempliciotti, quelli che ormai "Burton è dark + io sono dark x io sono una persona diversa da tutti : Burton è diverso da tutti [i suoi film sono bellissimi] = il fatto che mi piaccia fa di me una persona bellissima [il mondo è una merda] + la mia diversità mi rende speciale" e via dicendo in avvitamento carpiato sulla non-ammissione della proprio fottutissima banalità e sull'accettazione del sé e dell'Es. Ogni gruppo, per quanto minuscolo, sarà sempre un riconoscimento, uno spcchio: ti piace Burton perché sei diverso da tutti quelli a cui non piace (tu dici: non lo capiscono)? No, ti piace Burton perché sei uguale a tutti quelli a cui piace.
Evviva che gran novità gli ennesimi omaggi agli horror di una volta:
Noia. Evviva che primizia la presenza (sia in versione pupazzo) di Vincent Price doppiato da Martin Landau. Noia.
Oserei dire che Frankenweenie zoppica anche dal lato puramente tecnico. Ho visto una stop-motion quasi acerba, scattosa e imperfetta. I fasti (almeno tecnici) di un Paranorman lo fanno veramente rabbrividire. Vogliamo credere che sia una cosa voluta? Una sorta di effetto rétro-espressionista anche nella resa poco fluida e nei pupazzi che sembrano un po' lasciati a metà? (orrendi tutti gli adulti, banali le scenografie, si salva giusto il bianco e nero, comunque dato in post-produzione, come si evince da questa foto posata:
Niente. Vi regalo un making of perché è mia abitudine per i film in stop-motion, ma non ne vado fiero
Per fortuna le aspettative per Brutton sono ormai così basse - insomma, uno che riesce a stupire con un filmetto come Dark Shadow sta proprio alla frutta...
Occasione per parlare di Oscar. Frankenweenie è candidato tra i migliori film d'animazione. Candidatura regalata. Se la vede con: Brave (hum); Ralph Spaccatutto (credo il cavallo vincente); Paranorman (a mente fredda uno dei migliori dell'anno); e Pirati! (quello a cui ho già dato il mio premio). Poi scusate un'ultima considerazione da gattaro. *SPOILER* Dunque il protagonista c'ha cane e molto amore per cane unico amico evviva. Cane muore, lui triste, noi tristi. Quindi ok, resuscitalo! Vai così! Alla fine del film anche gli altri della combriccola resuscitano degli animali, tutti cattivi e tutti di nuovo morti a fine film. E ok. Ma. In mezzo a tutta la cagnara (!) c'è una tipa - la più stramba, banalmente uguale a mille altri personaggi del genere - che mentre vuole resuscitare un pipistrello lo mette vicino al suo gatto e CRAAACK quelli si mischiano e diventano un gatto vampiro. Alla fine del film il gatto - che non aveva fatto niente anzi aveva pure avvertito che presto sarebbero stati cazzi amari - muore, fuso col vampiro. Paletto di legno in panze e kaput. La ragazzina che se ne andava sempre in giro col gatto, il suo unico amico, il suo confidente, l'unico che gli permetteva di aggrapparsi all'ultimo barlume di sanità mentale prima del suicidio, rimane sola. Per il cane morto tutti tristi. Per il gatto nessuno piange. Non era il gatto l'animale più amato dai dark? Questo dimostra la pochezza del tutto, ai miei occhi, che non sono a palla, anzi sono a fessura in segno di grande disapprovazione.
Ma voi non preoccupatevi, continuate a mettervi la matita sotto gli occhi e a sentirvi diversi, io sto benissimo da quest'altra parte della normalità. Voi statevene tutti contenti per Cane (che poi, già puzzano da vivi... pensa da morto che deve esse'...). Io rimango qui.
Le aspettative generano i mostri. Attendi il "nuovo film di Anderson" (non quell'Anderson, e di certo non quell'altro Anderson) con una spasmodica quando non assoluta speranza: vedere del Grande Cinema Americano. Non ha quasi mai tradito le aspettative, Anderson, dalla vita porno, alla vita petrolio, alle vite magnolie: Anderson è un Grande Regista Americano, proprio "americano" della miglior America possibile, quella che ok, vende le armi e se ti tagli due dita ti puoi riattaccare solo quella che costa meno, ma anche quella che crea i Geni (Che sia proprio un Paese enorme e dagli enormi attriti culturali quello che crea il Genio? Come direbbe quello, dal letame nascono i fior... Ad esempio in Itaglia, ci sono i Geni? Non me ne viene in mente neanche uno.)
Comunque, The Master, sin dalla splendida locandina, era atteso. E molto. Era atteso perché non si sapeva bene quale fosse la vicenda, ma non prometteva nulla di buono (e quindi era già una gran promessa). Era atteso perché Joaquin Phoenix è un Attore come ne esistono pochi, ami quel labbro leporino e quello sguardo profondo, quella disperazione nel bianco degli occhi, la vedi che è Vera. Era atteso perché anche l'unto e mellifluo Seymour Hoffman è sempre una sicurezza. Era atteso.
E forse l'attesa distrugge per sua stessa natura lo stupore. Ti siedi al cinema e vuoi un Grande Film, vuoi una Grande Storia, pretendi di passare due ore investito dal Cinema. E quando non succede, la caduta è rovinosa. E con The Master non succede. Succede altro. Succedono cose non del tutto negative, per carità, ma non succedono quelle che volevi.
Il film non riesce mai davvero a scarnificare la patina (tutta Americana) di falsità e indignazione, non si riesce mai davvero a provare il Sentimento. Ci sono cose splendide, perfette, bellissime. Ma Anderson non riesce a liberarsi dai Simboli.
Ora. I Simboli. Già non è facile pensarlo, un Simbolo, renderlo reale, far sì che non sia una mera messa in scena di una parola, poi diventa quasi impossibile portarli in pratica (cioè inserirli nel film) senza rischiare l'iconografia spicciola. Rischi di diventare ridondante, rischi di far impazzire il critico, rischi che poi, a minuto 45, anche uno che cammina in terzo piano viene scambiato per un Simbolo. Rischi che quelli che riescono, tipo questo:
Vengono annullati da tanti altri troppo smaccati, quando non addirittura banali.
The Master è un film zeppo di Simboli. Il marinaio ricurvo (Simbolo)
sotto il peso dei suoi demoni e degli immondi intrugli che beve (benzina e colluttorio, lucido da scarpe e limone, formaldeide e gin, tutti Simboli), ormai perso nella sua sindrome da stress post-traumatico (nel suo caso la guerra)
sale su una barca (Simbolo) per trovare un giaciglio e si ritrova di nuovo in mezzo al mare, trasportato dai flutti (Simbolo)
e "accolto" (non senza una delirante forma di "scambio") da quella che all'inizio sembra una grande famiglia felice (Simbolo), un gruppo chiamato La Causa (nulla di così distante da Scientology, da qui le grandissime critiche che il film ha ricevuto da una parte di Hollywood e probabilmente da un ingrato Tom Cruise e "doma! lo! spazio!" Qui trovate un esaustivo articolo Trova le differenze tra la "religione" del film e quella reale), ma si trasforma poi in un mero gregge deindividualizzato con a capo un leader mefitico, un specie di setta che lo accoglie come "essere umano" con tutte le implicazioni e complicazioni - nel suo caso molte - e lo trasforma invece in una sorta di burattino decontestualizzato dalla realtà.
Fino ad una corsa in moto (Simbolo).
E via dicendo, di Simbolo in Simbolo.
Il fatto è che con tutta questa densissima presenza di Simboli, il film viene schiacciato (non tanto presto, ma definitivamente troppo presto) da un circolo vizioso un po' ripetitivo, in cui i due protagonisti si palleggiano sempre le stesse dinamiche.
Un peccato, perché Anderson è un Grande Regista, uno di quelli che non ti fa rimpiangere il Cinema Americano anni Settanta, quello capace di creare i Grandi Film, quelli che non ci sono più. Anderson aveva in mano una possibilità enorme, e dire che altre volte non se l'era lasciata sfuggire (se pensi a Il Petroliere), mentre questa volta si avvita (sulle vite e sulla vita) e non ne cava il tappo. E il contenuto, a lungo andare, diventa stantio.
C'è però un motivo che da solo vale la visione di The Master per almeno 10 volte. Quel motivo è Joaquin. (lo stesso motivo per cui il film si prende il Chicken, perché davanti ad un'interpretazione di questo peso non te la senti proprio di dare il Broccolo).
Non ho commentato molto le candidature agli Oscar, l'hype di due anni fa ci ha messo poco a scendere, in fondo è tutto un magna magna alle feste post-premiazione. Ma quest'anno l'Academy ha l'occasione unica di dimostrare che ancora ha un cervello pensante: dare un Oscar a Joaquin per il suo patetico e triste e sudicio e disperato reduce. Un personaggio che fa tornare i fasti dell'Actor Studio, di Jack Nicholson quando era Jack Nicholson, di Al Pacino e De Niro quando erano De Niro e Al Pacino. Non dico che Hoffman non sia grande, anche lui lo è, ma è avvezzo a questi ruoli ed è stato meglio (o peggio) in altri film, da Happiness a (persino) Mission Impossible III.
Invece la candidatura alla Adams è il Regalo. Qui c'è Phoenix e Phoenix soltanto. Nel suo ruolo della Vita. Contro chi se la vede? Bradley Cooper (ma andiamo... l'ho anche visto il film, non dico sia male, ma, andiamo signori...); Hugh Jackman (eh?!); Denzel Washington (no. fidati.); e forse quello che è il vero avversario, Daniel Day-Lewis (lo vedo domani.)
Te lo dico io. Se il 25 febbraio non vedo Joaquin alzare un oscar al cielo... chiamo Xenu. Bel poster turco.