La teoria del tutto
Trama: Se non ora quanto.
Questo è l'anno dei geni? Siamo alla seconda settimana di gennaio e ne conto già tre. Turing, Stephen Hawking.
Sarebbe stato bello fare un 2x1 con il raffronto diretto tra Turing e Hawking, una bella corsa a ostacoli, ma su Turing stiamo preparando una recensione "pettinatissima" (aumma aumma) e quindi è arrivato prima Stephen, ha messo il NOS.
Lo devo premettere, questa recensione potrebbe essere zeppa di battute sull'infausta condizione in cui versa (!) Stephen, condizione fisica, non solo quantistica, e lo sapete perché non mi sentirò mai in colpa di fare battute tipo "Stephen pensa. Si sentono le rotelle che girano."? Perché Stephen è un personaggio che ha la più grande dote che un uomo può avere; no, non la genialità necessaria per parlare di buchi neri e viaggi nel tempo con coscienza fotonica, no, Stephen ha il sense of humour più grande di tutta la galassia.
Voglio dire, Stephen ha fatto questa cosa qui una volta:
E non scordiamoci che Stephen ha raggiunto il picco più alto di riconoscimento a cui uomo possa aspirare. Ovviamente non parlo del Nobel, ma di questo:
e di questo:
Questo è essere Geni. E al tempo stesso essere Uomini Veri. Essere in grado di far dimenticare in una battuta la propria condizione, distruggendo con sarcasmo e intelligenza il pietismo e gli sguardi fastidiosi.
Certo, poi se ti soffermi un attimo - basta un attimo - a pensare che quel cervello, quel cervello ENORME, è costretto in un corpo così penosamente martoriato dalla malattia, ti sale una rabbia enorme, perché non è giusto. Una specie di Armin Zola, ma buono.
Poi ti calmi e pensi, o meglio ti chiedi, e se proprio quella condizione così sfortunata non è stata parte della sua grandezza? Ovvio, la sua genialità era palese sin dall'infanzia quindi sarebbe comunque diventato un grande scienziato, ma la mia domanda sfiora la possibilità che proprio la costrizione di dover comprimere il pensiero (ricordiamo un pensiero galattico, non la lista della spesa, che io manco mi ricordo cosa devo comprare, oltre a tonno e pasta), quindi doverlo esternare con la maggiore ottimizzazione possibile, senza la possibilità di appunti, appuntini, scritte sui post-it, insomma ordinare allo stremo la comunicazione, dieci parole alla volta, non sia un punto fondamentale della sua ricerca, del suo approccio al mondo e allo spazio.
Ma questi sono pensieri random, sono granelli di pulviscolo se confrontati con quello che può avere lui in testa.
Una testa affascinante, complicata, sardonica allo stremo (e l'ironia e l'autoironia... nel suo caso la sedia-ironia) è sempre la cosa più importante del mondo) e al tempo stesso pura, aperta. Ecco quello che il film riesce benissimo a centrare e raccontare. Un film bellissimo su molti fronti, un film su cui c'è molto da dire, ma che alla fine verrà ricordato per la pazzesca, incredibile, miopiedesinistresca interpretazione del protagonista, che, come recita l'adagio, "prenota già da ora il suo oscar".
Eddie Redmayne riesce in quello che - almeno per il sottoscritto - è il lavoro più difficile che un attore possa fare: recitare uno storpio senza diventare un totem di pietismo ambulante (!). Ci sono riusciti in pochissimi (e francamente mi viene in mente solo il citato Daniel Day-Lewis del Mio piede sinistro) e la deriva Simple Jack è sempre dietro l'angolo. DeNiro in Risvegli? Dustin Hoffman in Rain Man che poi va a prendere l'oscar uguale? Meglio non ricordare quel tipo fatto da Edward Norton poi...) e quando accade è speciale, perché l'empatia per il personaggio raggiunge il 100%, forse lo supera pure.
Non hai più difese, la tua posa da spettatore stracritico (come il sottoscritto) che dice "sì ok bravo, ma è anche "facile", una volta trovato il modo di "storpiarti", si frantuma contro lo sguardo fiero e il corpo storto e pensi a quanta fatica possa aver fatto un tipo così oggettivamente bello:
a lavorare su ogni muscolo per accartocciarsi su una sedia e, sul finale, perdere totalmente la parola e riuscire a recitare con gli occhi.
Bràvo Eddie. Bràvo.
Poi certo, la volontà chiara di glissare sui buchi neri che inevitabilmente Stephen deve avere in sé (ha tentato il suicidio?) è lampante, il film ha una morale positivista e la frase finale "finché c'è vita c'è speranza" è il messaggio ultimo che vuole consegnare agli spettatori, ma lo fa con garbo, senza pietosismi o "strappacorismo". Certo se non piangi in certe scene sei veramente un cuore di pietra, o un robot.
Il film spinge anche molto, moltissimo, sulla storia d'amore con Jane (una bellissima e guai a chi dice il contrario d'altronde da queste parti ce n'eravamo accorti molto tempo fa) Felicity Jones, che comunque è anche molto brava, anche se il compito era ingrato perché il film è mangiato a quattro ganasce ma con la cannuccia da Eddie.
E forse aver spinto sull'accelleratore di particelle amorose è la parte un po' troppo melensa del film, con il parallelo Amore-Tutto che diventa un tantinello ridondante, anche nelle immagini
Ma appunto, la fierezza e paradossale gioia di vivere che Stephen trasmette è talmente alta che anche il lato puramente romantico del film si inserisce bene in tutta la formula.
La teoria del tutto forse non sarà un Capolavoro assoluto, ma di certo è un film che svolge il suo lavoro più che perfettamente. Di certo con maggiore convinzione e sapienza di Imitation Game. Oh! A proposito! Ma lo sai la cosa pazzesca! Che anche Benedict è stato Stephen (ma senza storpiature) in un serial BBC, che, guarda un po', è tutto qui sottotitolato:
La teoria del tutto non si sa qual è. Io ne ho formulata una, non troppo innovativa mi sa, anzi forse è la teoria più antica del mondo. Ma ho come l'idea che Stephen possa essere sostanzialmente d'accordo:
Come? Mi sono scordato di elencare il terzo genio? Ma, andiamo, usate un po' di materia grigia. C e B. Correct.
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