Educazione Siberiana
Trama: Romanzosky Criminalosky
Di Salvatore, lo sapete bene, non mi fido a priori. Sbaglierò io, ma lui sbaglia più di me. Ha cominciato a sbagliare quando, nascondendosi dietro la brutta scusa della "sperimentazione che io sono il solo che la fa che io sono quello che tenta tutti generi che in Italia nessuno fa i generi" ha iniziato a copiare a destra e manca. Copiò Scott per Nirvana (vabbè), copiò Cronenberg per Denti, copiò Inarritu per Amnèsia, poi fece Io non ho paura che era bello perché non copiava nessuno e vabbè può capitare a tutti di fare un film bello, copiò qualcuno di cui non ricordo il nome per Quo Vadis Baby ma a quell'epoca c'era la moda del noir livido tipo Mystic River per capirci, fece male un altro Ammaniti, e poi lo scatafascio, copiare Anderson per Happy Family, con questo si guadagnò proprio la nomina di imperdonabile.
Quando ho saputo che Salvatore avrebbe ridotto il libro del miracolato Lilin in film, ho storto subito il naso (che già un po' storto di suo è, quindi proprio mi è diventato come quando fai quelle foto sceme con gli effetti di photoboot) e ho atteso.
Ho letto il libro di Lilin quando uscì, a dire il vero ho letto anche il secondo (da cui il film prende anche qualcosa) e, sebbene fosse lampante la sua poca caratura letteraria, mi ero appassionato alla mitologia di questa criminalità "buona", fatta di riti, di antiche tradizioni, di rispetto per le regole, ovviamente le regole criminali, e, soprattutto, fatta di simboli.
Il simbolo sembra infatti essere la base di ognuna delle tradizioni criminali siberiane (ma in effetti lo è per ogni organizzazione criminale antica, anche le mafie italiane hanno i loro riti pagani di coltelli, iniziazioni, corone). Il coltello, che può essere usato da una mano e una mano soltanto, tramandato al limite per consangunei; il rito del Tè, durante il quale si discutono azioni criminali come omicidi, vendette, rapine; e ovviamente i tatuaggi, carichi di significato (lo avevamo visto anche in Eastern Promises, quello sì che era un film...) e storia. Leggere un uomo attraverso i segni sulla sua pelle, quella era di certo la parte più affascinante e in definitiva "diversa" dai soliti racconti di ascesa e caduta di un criminale.
Insomma Salvatore alle prese con la criminalità più o meno organizzata russa. Il materiale c'era, era tanto e denso, nel libro - che ripeto è assai lontano dall'essere scritto bene - succedevano così tante cose interessanti che davvero c'era di che farne un bellissimo film. Così - e che brutto poter dire per l'ennesima volta "ovviamente" - non è.
Salvatore spreca ogni singolo elemento/simbolo (l'angolo rosso, il quartiere e i suoi confini invisibili, il fiume) per appiattire un po' tutto dietro il nome dell'attore hollywoodiano che si è prestato al film e alle scene di routine. Insomma, proprio quando poteva fare un film icona (russa, non a caso) ne fa un affresco confuso e delavè. Non che non ci siano quegli elementi, ma non gli si dà mai il giusto risalto, la giusta carica mistica e mitologica. Ci sono, si vedono o si raccontano, ma dov'è la tradizione? La profondità del rito? Il senso di appartenenza? La fatica del protagonista che pur affrancandosi, alla fine, dalla sua vita criminale, rimane legato al suo passato, di cui in fondo va fiero?
Eccola di nuovo. L'incapacità tutta italiana di infondere ai propri protagonisti un peso specifico, che qui invece è pari allo zero, ha in Educazione Siberiana un nuovo ennesimo esempio.
Il "personaggio" Nicolai Lilin ha vinto sulla sua reale (in)capacità nella scrittura e la sua capacità alquanto abbozzata come tatuatore, facendone comunque un caso editoriale (non letterario, v'è differenza) e un tatuatore di fama (non credo tatui più comunque): Lilin raccontava - sì, probabilmente romanzando - la sua vita criminale e il suo diventare tatuatore, la guerra e la rinascita, e lo faceva inciampando spesso in ripetizioni o strutture lessicali semplici, quasi elementari, ma quello che raccontava, si sentiva, era una realtà densa e strutturata, viva. Per questo appassionava.
Nel film manca proprio quella struttura, quella vitalità. E, ancora peggio, manca quello che invece doveva essere l'elemento più forte, capace di tenere su di sé tutto il peso del film: il protagonista.
Raccontare il singolo per raccontare il plurale, è questo che fanno spesso i film di organizzazioni criminali. L'esempio che meglio si adatta è Quei bravi ragazzi, no? Ray Liotta al centro e intorno, la mafia italoamericana. Infatti ero pronto (e forse glielo avrei perdonato) a vedere un epigono scorsesiano, pistole e sangue, ma con la neve. Mi aspettavo piani sequenza con presentazione dei vecchi saggi in voce off, mi aspettavo qualche movimento di camera azzardato, mi aspettavo ralenti, ammetto.
Nulla di tutto questo, e in definitiva è un peccato.
Perché il film mantiene un andamento sonnacchioso e spreca quasi tutte le sue occasioni. Il materiale era talmente potente che queste occasioni sprecate si fanno sentire il doppio. Quel "quasi" è la scena, questa sì bella, della pratica da tatuatore fatta da Kolima/Nicolai nel carcere minorile, per il resto il nulla registico. Non ho visto un regista nella scena del fiume, non l'ho visto nella scena del tè o in quella del primo incontro/scontro con la polizia in casa, non l'ho visto nella scena della "lettura" del cadavere. L'ho forse intravisto nella scena della rissa con la scalcagnata gang avversaria... ah, ma non era Salvatore, era Kubrick.
Ritornando al protagonista e ai protagonisti. Nonostante l'evidente bellezza dell'est dell'attore scelto per Kolima, a mancare è la capacità di rendere profondo lo sguardo, stiamo pur sempre parlando di un ragazzino cresciuto a pane (raffermo) e morti ammazzati.
Molto più bravo l'esordiente che interpreta la sua nemesi Gagarin, l'attore riesce a rendere meglio dell'altro lo strazio interiore dell'appartenenza che si scontra la voglia di emergere in fretta, non seguendo la tradizione, stringendo patti coi peggiori e con la droga (bandita dalla vita criminale siberiana). Certo non lo aiuta essere IDENTICO a Muccinino
Per gli adulti, un altro paio di maniche. Malkovich se ne sta sempre lì con gli occhi da pesce e la bocca mezza aperta come gli fosse preso un ictus un secondo prima. Invece totalmente sprecato quel mito vivente di Peter Stormare. Il resto mancia, il resto manca.
Un peccato, l'ennesimo. Perché il film non si solleva da una decente produzione televisiva, mentre poteva essere un gran film, mitico e mistico.
Il finale poi, tra i più frettolosi, inconsistenti e francamente anche incomprensibili che io ricordi, trasforma il film da "occasione sprecata" a "e che t'aspettavi da un film itaGliano?".
Peccato perché checché se ne dica Lilin è un bel personaggino e nonostante non sia un grande scrittore tantomeno un grande tatuatore, mi sembra essere un uomo sincero, che sfrutta la sua esperienza in maniera pulita, come faremmo tutti, senza strumentalizzarla beceramente.
A proposito di tatuaggi e di forse non tutti sanno che, Lilin, ancora non famoso, collaborò anni fa con uno scultore italiano, Fabio Viale, facendo queste bellissime (e cariche di significati) sculture qui:
Mentre io, da par mio, ho iniziato a vivere secondo un'Educazione Broccoliana