martedì 21 febbraio 2017

CB ANTEPRIMA • Barriere

Barriere
Trama: Denzel Dormibon

Denzel Washington porta sul grande schermo la piece teatrallora stavo in questo albergo gigantesco. C'eravamo io, un tizio che conoscevo e un'altra che conoscevo (sì anche in senso biblico) ed eravamo asserragliati in una stanza perché fuori c'erano degli zombi. Sempre paurosa l'apocalisse zombi. L'unica via di fuga poteva essere passare dai terrazzi. Era uno di quegli alberghi con i terrazzi tutti uno accanto all'altro, ma il vero problema sarebbe stato passare su quello sotto, via via fino a terra, ma poi una volta a terra? Era pieno di zombi pure lì. Una bella gatta da pelare. A un certo punto uscivo e vedevo delle manine spuntare dalla balaustra e cacchio c'era un ragazzino zombi che si stava arrampicando. Bisognava buttarlo giù ma non eravamo ancora in quel momento dell'apocalisse zombi dove ormai c'hai fatto il callo e ammazzi gli zombi come fossere moscerini, erano ancora persone per noi, era l'inizio, quindi prendere le manine dello zombetto e buttarlo già non era proprio facile. Qualcuno doveva pur farlo però. E quindi mi immolavo. Una volta fatto però una strana calma sembrava impossessarsi di noi. Forse era una sorta di barriera mentale del tipo "cosa più terribile di questa difficilmente potrà succedere, insomma buttare un ragazzino da un palazzo". 
Denzel Washington parla al fulmicotone per le scene che ho visto, parla parla parla parla solo lui, quasi stesse cantando un blues, gli manca solo la tromba. Bravissimo per carità, e anche Viola Davis che si porterà a casa finalmente il suo Oscar. Questo comunque è l'anno dei film all black. La Davis è bravissima davvero, contraltare pacato e sottomesso al vomito dialettico del maritero in macchina. Viaggiavo a una velocità abbastanza sostenuta ma non tanto da sentire un pericolo, o  sentire di esserlo. A un certo punto una sorta di pulmino, o meglio una di quelle macchine molto grosse che vorrebbero essere pulmini ma non lo sono mai veramente, mi tagliava la strada. L'impatto era inevitabile ma la cosa stranissima era che non c'erano lamiere o scintille. Era come se la macchipulmino fosse fatta di plastica, di materiale gommoso, di bolla di sapone: l'attraversavo, al ralenti, e passando, dicevo all'autista (che a quel punto mi stava vicinissimo, alla mia destra) "ma le giuro che sto spingendo il freno ma non funzionaaaa". Attraversata la macchina continuavo il mio viaggio e arrivavo all'appuntamento. Parcheggiando facevo di nuovo un incidente. Finalmente fuori dalla macchina mi dicevo proprio "oh ma che succede oggi". il tempo di girarmi e la macchina l'avevano pure rubata!
La dimensione teatrale del film comunque è costringente eh. (Quasi tutto) recitato nelle quattro non-pareti di un patio di cui il protagonista sta costruendo la staccionata, le barriere (barriere reali - barriere interiori vabbé questa era facile), non aiuta molto il movimentarsi del film. I due protagonisti hanno già fatto coppia nella versione teatrale, iperpremiata, e lo sceneggiatore, August Wilson, due volte premio pulitzer l'ho appena letto su Wiki, è candidato all'oscar anche se è morto 12 anni fa e Mi baciavo tantissimo con una ragazza carina sotto a delle catene.
Ah. Come si dorme al cinema. Come si sogna al cinema. È bellissimo. Tu resisti, e sullo schermo tutti ti invitano a resistere, perché dannazione si sono fatti un culo come un secchio per recitare così bene, è impegnativo, contando anche la tematica del film e il fatto che sia evidentemente un film importantissimo per la comunità afroamericana che mai come quest'anno al cinema è rappresentata da grandi film e personaggi, e riconosciuta agli oscar anche con film per nulla faciloni o "come i bianchi vedono i neri" come al solito.
Però può succedere quello che ti pare, possono esplodere astronavi o esserci discorsi profondissimi o interpretazioni magistrali, ma quando finalmente non resisti più (chiudendo prima un occhio e poi l'altro) e ti lasci abbracciare da Morfeo, come stai bene.
Purtoppo poi quando vai a scrivere la recensione non puoi mettere né Chicken né Broccolo senza perdere in credibilità (eh. tutta quella credibilità...), perché il film in realtà non l'hai proprio visto, l'hai visto a pezzi, e anche se vorresti dare la colpa della tua narcolessia al film noioso, non potrai mai sapere se è veramente colpa sua o del fatto che avevi dormito pochissimo la notte prima o quel che è. 
Sai solo una cosa: esci dalla sala e pensi che dormire e sognare zombi, incidenti saponati e baci appassionati al cinema è bellissimo.

lunedì 20 febbraio 2017

CB ANTEPRIMA • Jackie

Jackie
Trama: Jackie Down

A Pablo Larrain interessano più di ogni altra cosa i filmati d'epoca. 
Come fossero specchio del contemporaneo (lo sono.), Larrain li inserisce nei suoi film in una modalità da regista un po' ossessivo: li rigira, li ricostruisce, li rifà shot-for-shot, in un processo di cartacarbone che stupisce per maniacalità (ci sono making of in cui si vede Pablito che sovrappone in trasparenza il suo girato al filmato d'epoca e i due corrispondono alla perfezione), il risultato è cinematografico e documentaristico al tempo stesso. Ma la qualità vera del regista (e non l'opera di un mezzo matto) si sente quando quei filmati ricostruiti riescono a fondersi alla perfezione alla parte fiction, diventandone una parte fondamentale.
Nei biopic è una pratica usuale mettere i filmati dell'epoca, quelli veri, tipo Istituto Luce per capirsi, o la cosa di mettere sempre le foto dei veri protagonisti alla fine dei film STORIA VERA. Lo si fa perché video e foto vere ti portano indietro nel tempo e ti sbattono in faccia la realtà che il film vuole ricostruire. Ti dicono "guarda che è successo veramente. Sì ok questo è un film e magari ti stai distraendo perché gli attori sono famosi, ma la Storia è una cosa vera. C'è da millenni, la Storia, e anche se sei abituato a pensare che sta solo nei libri, invece è vera. E pensa un po', ti riguarda." 
Ricordate NO (no, dico, ricordate NO? Sì, ricordate, NO... vabbé...), il film sulle elezioni cilene vinte dai Mad Men dell'epoca, era di Larrain ed era bellissimo, e anche lì i filmati d'epoca erano ricostruiti in maniera maniacale ed erano veri protagonisti.
Ora a Larrain hanno aperto, meritatamente, le porte di Hollywood. E lui ha scelto di raccontare una storia che con i filmati d'epoca c'entra tantissimo, anzi ha scelto di raccontare ciò che accadde subito prima e subito dopo di quello che è, insieme al video dell'attacco delle Torri, a quello coi poliziotti che massacrano Rodney King, all'uomo che saltella sulla luna e a qualche impresa sportiva che ora non ricordo, il filmato più celebre della storia americana, lo Zapruder Film:

Se in JFK di Oliver Stone il filmato Zapruder viene sezionato e analizzato fotogramma per fotogramma in cerca di una spiegazione, di una cospirazione, dei proiettili magici, in Jackie viene quasi del tutto dimenticato, a favore di un altro filmato d'epoca che, per l'economia del film, diventa un'impressionante (impressionante!) testimonianza A) di quanto la vita di un First Lady non è fare la ricca e cambiare le tappezzerie delle stanze della Casa Bianca, ma piuttosto mettersi una maschera e diventare una sorta di tiro a segno per un intero popolo (quello americano poi, che certo non brilla in intelligenza) e per un cecchino vero e proprio B) di quanto è brava Natalie Portman. 
Il filmato è questo qui:

Nel film lo rivediamo quasi tutto, ma recitato da Natalie. La sensazione è straniante e dimostra perché Larrain si sia fissato nel ricostruirlo: è successo davvero, anche se c'è Natalie dentro, vederlo con la vera Jackie dimostra che era Storia, non cinema. 
Ma certo, poi c'è il fattaccio, quel momento un po' così di quando stai in macchina con tuo marito e a quello gli esplode la testa e tu l'unica cosa che puoi fare e raccogliere i pezzi e tenergli la calotta cranita al suo posto con le mani.
Quello che è successo a Jackie avrebbe mandato fuori di testa (!) chiunque, chiunque, e infatti, tra le reazioni della Kennedy ci sono momenti di sconforto infinito, pianti, ma anche una forza impressionante, una risolutezza inquietante e delle scelte impavide (il funerale pubblico voluto da Jackie poteva far concludere la mattanza dei Kennedy, mettendo dei bei bersagli rossi sulle teste dei ragazzini e su lei stessa ex-first lady dichiarava che l'apertura della stagione della caccia ai Kennedy non le faceva paura. La stagione durò fino a quando hanno ammazzato anche Booby. Oh, i Bush e i Trump non li ammazzano mai eh...), che l'hanno resa davvero umana, non come quando devi sorridere per forza in un filmato in cui accompagni per mano gli americani in una casa che non è la tua e che tanto prima o poi dovrai lasciare. Se poi la devi lasciare vestita di nero col feretro di tuo marito, diventa ancora più folle, anche perché tutti gran parte degli americani pensano di provare il tuo stesso dolore. Ma c'è una bella differenza, uno schermo trasparente tra lei e loro.

Jackie non era un biopic facile, ma lo sguardo ester(n)o di Larrain (un cileno, uno che viene da un paese che ha una Storia sulle spalle che altro che un attentato al presidente) serve proprio a raccontarci senza americanismo ('sto film in mano a un Eastwood o uno Stone, appunto, sarebbe stato un disastro) una tragedia personale (ricordiamo: stai in macchina, ti giri. Senti un botto. Ti rigiri, hai il cervello di tuo marito sul tuo completo Chanel rosa.) che diventa tragedia di tutti


Jackie non è assolutamente un film perfetto, si porta dietro tutti i soliti problemucci dei biopic, in primis il più grande, cioè quello di essere fagocitato dalla bravura dell'interprete principale (tipo Iron Lady o Capote) e anche una certa ripetizione dei concetti (che rendono dei passaggi pure un po' ridondanti), ma tra il gusto della ricostruzione (anche la Casa Bianca è stata ricostruita, annullando la mia certezza che da qualche parte a Hollywood c'è una copia precisa della Casa Bianca che poi le produzioni affittano e ci mettono dentro di volta in volta i vari X-Men, Channing Tatum e Kevin Spacey e tutti gli altri mille che fanno i presidenti nei film) e la bravura di regista e attrice, diventa già uno dei migliori del 2017, finora.
Natalie giganteggia, con un accento innaturale, una tristezza sempre composta e quella bellezza che vabbé. Lo merita l'oscar? Le candidate alla Miglior Attrice sono (link nelle foto):

Credo che la vera battaglia sia tra Natalie ed Emma, e mi chiedo, nell'economia della scelta, se dovrebbe vincere l'attrice chiamata a interpretare una vedova nelle ore più terribili e tragiche della sua vita, una prova che come l'affronti l'affronti, non deve essere stata per nulla facile, oppure l'attrice che ha dovuto ballare tutto il tempo con Ryan Gosling e fare questo:

No per carità, difficile tutto sempre eh, però... a parità di difficoltà interpretare una donna innamorata che balla e canta tutto il tempo rispetto che interpretare una donna innamorata che deve tornare a casa (bianca o non bianca) e togliersi i pezzi di cervello del marito dai capelli...

Per dire eh...
C'è però da dire che è dal 1998 che si vincono oscar per personaggi realmente esistiti. Solo lo scorso anno tre! È anche bello  pensare che si premi la costruzione di un personaggio senza che l'attore abbia dovuto "copiare" accenti e movenze.
Chissà se quando si incontrano il 26, Natalie e Michelle si accapigliano, sai... per quella storia di Jackie vs Marilyn...
Comunque Jackie l'oscar l'ha già vinto.
Natalie Portman sfornafigli di Millepied (ma perché io non ho un cognome così? Perché!?) è sempre bellissima. E pensare che quando stavamo insieme... 

Comunque, a parte JFK che è il vero capolavoro di Oliver Stone e su quello che successe a Dallas quel giorno senza se e senza ma, e dimenticati film che raccontano i Kennedy (ricordo questo e questo, e la serie TV che non ho mai finito di vedere e quella invece che ho finito), il vero supporto audiovisivo imprescindibile se si vuole approfondire la conoscenza di quei giorni è il doppio episodio di Quantum Leap in cui Sam diventa Lee Harvey Oswald. Bellissimo, tanto da mettervi il link anche se potrebbe partire un'investigazione dell'FBI, CIA, KGB, MOSSAD, Oliver Stone, Otto il bassotto e Signora in Giallo.

venerdì 17 febbraio 2017

SIAMOVIE SERIAL • La mafia uccide solo d'estathé

Un personaggio come Pif, nel panorama televisivo e cinematografico italiano è proprio una manna. È necessario oserei dire. Uno che ha fatto Il Testimone merita tutto il rispetto e le risate possibile, lui con il suo fare spaesatissimo in mezzo alle più assurde situazioni del mondo. E con quel tono cazzone che però ti mette, di volta in volta, tristezza, rabbia, malinconia, divertimento come molti dei programmi che riempiono la TV (ok. sto parlando di una cosa che non conosco. non succede mai no? non ho la TV dal 
Le puntate sono tutte QUI e VANNO viste, proprio senza giustificazioni.
Pif poi ad un certo punto si è messo a fare cinema, con l'esordio La mafia uccide solo d'estate. Mi era piaciuto, non in visibilio, ma mi era piaciuto.
Un anno e mezzo fa ho scritto a Pif per la prefazione (la piffazione quindi) di un libro che vabbé avevo scritto tra una recensione e l'altra e mi ha risposto che non poteva perché sava finendo
In guerra per amore
Trama: Ah! Sì! No! volante...

MA COME HAI DETTO NO ALLA PREFAZIONE DEL LIBRO FONDAMENTALE DEL MONDO per il tuo film?! La reazione vi stupirà: sono stato contento che avesse preso anche solo quel minuto per scrivere la risposta, invece di chiamare l'avvocato per denunciarmi del fatto che avessi la sua mail privata. La stima continuava a crescere. 
Il film è contro la mafia mascherato da film d'amore mascherato da film di guerra. 
Di certo un progetto ambizioso, e forse troppo, perché qualcosa non funziona. Si direbbe che aver mascherato una cosa per un'altra e poi un'altra ancora abbia coperto di troppi strati il vero cuore del film, che poi è sempre quello: l'amore per la Sicilia. 
Sembra che questa cosa sia particolarmente comune nei registi siculi, basta pensare a Tornatore, che appena può torna sull'isola o a Scimeca, insomma la Sicilia più di altre regioni sembra appiccicarsi ai suoi registi.
Per Pif è di fondamentale importanza unire l'intrattenimento stralunato che regala il suo personaggio un po' picchiatello, ultimo dei romantici, immerso in situazioni più grandi di lui, che lui affronta con candore e quindi con sincero sentimento. Pif va in guerra (la II Mondiale, eccone un altro per il trend di cui parlavamo ieri) per motivi tutt'altro che patriottici, ci va per andare a costo zero fino in Sicilia, dall'America, per chiedere la mano dell'amata, che tanto sta col figlio di un boss newyorkese, sì è ingarbugliato, ve lo dicevo che ci sono troppe cose) e in questo film in particolare non si distanzia poi molto dal Benigni di La Vita è Bella.
C'è una strana eco che perdura per tutto il film: che il progetto fosse un tantino troppo ambizioso? In costume. La guerra. La mafia. L'amore. L'amicizia virile. C'è tempo anche per l'omosessualità, le barriere architettoniche, lo scontro religione-politica... ecco, forse troppe cose. Ognuna di queste forse spalmate in un episodio de Il Testimone sarebbe stata meglio approfondita.
Il film non ha quella forza che regala il contrasto risata-impegno che è la vera cifra stilistica di Pif, quello che lo rende speciale su tutti.
Ecco, i suoi format, così leggeri e così profondi, funzionano sulla lunghezza, come dimostra
La mafia uccide solo d'estate. La serie
Trama: Campo minnato

Che sì è la versione allungata del film, ma funziona tutto e forse anche di più, con più aria, appunto.
Si respira la stessa aria de La meglio gioventù, quelle operazioni che mischiano la storia dei piccoli - in questo caso una tipica famiglia italiana degli anni 70, con tutte le speranze, gli scontri, la quotidianità che conosciamo bene, sia dai film che dalle famiglie nostre - alla Storia con la S maiuscola, e lo fa bene, con delicatezza.
I Giammarese fanno di tutto per non guardare in faccia la Mafia, ma la Mafia, all'epoca di una sfrontatezza e potenza oggi quasi dimenticata, ma spaventosa, non poteva non intrommettersi in tutto quello che chiunque vivesse in Sicilia (e non solo) all'epoca.
Ecco, se proprio un piccolo appunto si può fare a questo serial (andato in onda sulla RAI, probabilmente è questa la causa) è di "edulcorare" proprio la spietatezza terrorristica della Mafia, che uccideva, distruggeva, faceva saltare in aria, controllava l'Italia a pie' spinto: i mafiosi sono tutti troppo "macchiettistici", quasi ridicoli, fanno meno paura di quello che dovrebbero.
Ma per il resto, dalla scrittura agli attori (AH! Anna Foglietta è più convincente da sicula che da romana qual è di origine e SORPRESA! il bel siculo Francesco Scianna è BRAVO! pazzesco eh, se ti ricordi l'ultima volta che l'hai visto...), alla voce off di Pif (ormai un marchio di fabbrica) rende il tutto una produzione come ce le dobbiamo augurare sempre. Giammarresi - Cesaroni 1000 a 0.
Rivedetevi Il Testimone. Amunì

giovedì 16 febbraio 2017

2x1 • Saluti da Adolf

Sembra un po' insensibile da dire ma quest'anno si profila un grande trend: la Guerra. 
Non la III, quella che sta lì lì per scoppiare tra tra Trumputin
vs Kim Jong-un
ma proprio la II, quella che invece sta sparendo anche un po' dalla memoria perché ormai chi l'ha vissuta o è morto o ha 290 anni e non sapendo usare gli smartphone non riesce a far arrivare i suoi ricordi neanche tramite meme, infatti poi vedi quel progetto fotografico di Selfie+Olocausto e insomma, un po' di stucco ci rimani a pensare che la gente VERAMENTE si fa le selfie sexy sui momumenti alla memoria o coi sorrisi a 32 denti con la scritta Arbeit macht frei dietro. Poi gente con 50 MILIONI di follower su YouTube si mette a fare apologia del Nazismo e proprio scoppia il cervello.
Quindi questa cosa che stanno uscendo mille film che raccontano la II Guerra Mondiale - dall'inizio dell'anno ne abbiamo già visti un bel po' anche se in luoghi geografici e con intenti diversi: c'è stato quello di Gibson, poi Bradillard, quello sull'attentato a Heydrich e poi ho visto anche quello di Pif che ne parliamo settimana prossima - è una cosa buona per carità, mai scordarsi il vecchio adagio: non dimenticare per non ripetere gli stessi errori. 
Adagio che in effetti sembra sempre un po' vuoto, il famoso albero che cade nella foresta deserta, visto che tanto MAI il ricordo di una guerra precedente è servito a evitare una qualche guerra in qualche parte del mondo. Ma proprio dalla notte dei tempi eh.
Ci riusciranno i film? Ovviamente no, ma sempre meglio che esistano piuttosto che no.
Comunque, come già dicevo non ricordo in quale delle recensioni linkate, a proposito dei film su quel periodo nefasto mi piacciono sempre di più quelli che raccontano gli atti di resistenza urbana piuttosto che quelli da trincea. 
Ecco che quindi seguo e alimento il trend vedendo due film STORIA VERA (logico) che proprio di due atti di resistenza piccoli - ma ovviamente giganteschi - raccontano.
Lettere da Berlino
Trama: Stiamo tutti male. XXX

Una coppia di mesti berlinesi, Otto e Anna Quangel, che Hitler lo ha pure votato e che essendo tedeschi di nascita non subisce le morse della persecuzione nazista, perde il figlio in guerra. Sbem. Il dolore fa cadere il velo di Maya tipico di quelli che eleggono il loro dittatore senza neanche accorgersi delle conseguenze, e da quel momento i due iniziano a scrivere e a lasciare in giro per Berlino delle cartoline che inneggiano alla pace e alla consapevolezza del Male chiamato Adolf nella speranza che possanno istillare un barlume di consapevolezza in quelli che le trovano.
Le cartoline vengono lasciate in luoghi sempre più pericolosi e strategici. 
Le cartoline vengono inesorabilmente consegnate alla polizia, che mette un ispettore caparbio sulle tracce del/dei sobillatori anonimi. L'ispettore dovrà anche lui ricredersi su certi metodi non proprio ortodossi dei Nazi.
Non vi aspettate cose tipo Schindler's List o Il pianista o Train de Vie o  altri capolavori del genere perché siamo lontanissimi da quei picchi di genere, ma Lettere da Berlino è così come si presenta, una storia vera in formato fiction sorretta tutta dal suo cast.
Mi chiedo per quale assurdo motivo Brendan Gleeson non ha cento oscar, o perlomeno nomination, sul camino. È inspiegabile, ci manca solo che alla fine il figlio (attore pressocché inguardabile per me) faccia più successo del padre.
La sua presenza scenica salva il film dall'essere un prodotto televisivo (per quanto fatto bene). Poi ci sono Emma Thompson (cioè in pratica Malocchio Moody 
e la Cooman 
si sono sposati, hanno preso un Giratempo e hanno cercato di sconfiggere un altro despota pazzo, vedi...) e Daniel Bhrul, anche lui sempre bravo a fare il nazistello antipatico, sin dai tempi di Bastardi senza gloria.
Un film di seconda fila, ma che va benissimo esista.
Sempre in qualche recente recensione (recentione, quindi) avevo chiamato in causa quel tizio che aveva costruito da solo una bomba per ammazzare Hitler facendosi chiudere ogni notte nel pub dove il fuhrer avrebbe dovuto tenere un discorso dopo qualche mese, e mi chiedevo com'era possibile che non ci avessero ancora fatto un film ci hanno fatto un film:
13 Minuti
Trama: Bomba pacco

Il sottotitolo del film è "...che non cambiarono il mondo" AH GRAZIE DELLO SPOILER!
Ah già... fosse andato in porto l'attentato l'avremmo saputo alle elementari... vabbé... però quanto rimanemmo sorpresi quando vedemmo 'sta scena eh?
Insomma questo Georg Elser, anche lui tedesco, attentò alla vita di Hitler DA SOLO. Se non è un grande 'sto tizio, non so chi altri.
Però l'attentato andò male e la bomba esplose 13 minuti dopo che Adolf aveva lasciato la sala, ammazzando pure otto persone, ma non il bersaglio.
Il film ci racconta molto il prima e molto il dopo la sera dell'attentato, allungandosi  sulla vita da civile di Elser, sulle motivazioni (abbastanza chiare se viste col senno di poi, ma vivici tu da tedesco nella Germania Nazista con idee antinaziste) e sull'interrogatorio/tortura subìto una volta catturato, quando  i nazi proprio non ci volevano credere che aveva pianificato tutto da solo. Eppure.
Il film mi racconta per quasi tutto il tempo le avventure amorose di Elser, invece avrei voluto un film ansiogeno, se la potevano veramente giocare sulla claustrofobia. C'è anche che la palese antipatia (attore e personaggio sono da schiaffi in faccia fissi), e il fatto che tutto sia impacchettato con una grana ben al di sotto dell'importanza della storia che racconta affossa il film in un prodotto questo sì televisivo, e pure bruttarello.
13 minuti in mano a un grande regista (che poi il regista è quello de La Caduta, bel film, anche se tutti lo ricordiamo per il LOL

un ancora miglior sceneggiatore e con un attore degno di questo nome, sarebbe stato un grandissimo film. 
Comunque lo potete trovare su RAIplay. Capisco che aver appena detto che fa abbastanza schifo e poi linkarvelo non è la più coerente delle azioni, ma in questi tempi, sull'orlo della III Guerra Mondiale, chi ha più bisogno di coerenza.
Prossimo appuntamento con la Guerra il nuovo di Nolan:

mercoledì 15 febbraio 2017

CB ANTEPRIMA • Moonlight

Moonlight
Trama: STORIA NERA

Prima di tutto un applausometro che rompe le barriere del suono (sarcasmo) a chi ha deciso che la FAVOLOSA locandina originale, questa
dovesse essere concettualmente annichilita (nell'originale un uomo - tre vite. In quella italiana tre uomini - una vita. C'è differenza.), graficamente svilita e vilmente riempita di centomille scritte e stelline rassicuranti e (questa la cosa più ridicola e patetica) con l'aggiunta di quei bullet point in alto "a chi è piaciuto" che la riduce a una comunicazione del tipo  "Ehy! Trattonsi di film di negri! Film simile a 12 anni schiavo e Selma! Film di vita complicata negra! Correte al cinema se vi avete amato!" quando invece: NO.
Ok, Moonlight è vita complicata negra, ma sono complicazioni lontane mille miglia dai problemi di schiavitù di Solomon o quelli poitici di Martin Luther.
In Moonlight, se proprio vogliamo, la questione razziale è proprio quella meno problematica. Anche perché di bianchi non c'è manco l'ombra.
Riassumiamo la trama di Moonlight ripescando la stupenda recensione illustrata che Margherita mi manchi ma quando arriva il Festival der Firme de Roma sempre troppo tardi non ne possono fare tre all'anno ora chiamo Weltroni fece del film:

A parte che ora che ho visto il film fa ridere cento volte di più, ma davvero c'è tutto anche del film. Bisogna dire che Marghe è stata un po' cattiva ma lo sai che mi piacciono le ragazze cattive con il povero Little/Chiron/Black.

Moonlight non è un film sul crack. Non è un film sulla vita di periferia. Non è un film sull'omosessualità. Non è neanche un film sui neri d'america.
Moonlight è un film sulla dolcezza.
(Sì. Sta per partire la sviolinata di CB sui sentimenti. Troppi mershmellow.)
Un film su quella dolcezza che riesce a esistere nonostante tu sia un nero di periferia gangsta, gay, menato da tutti, con la madre fatta di crack e tutto fa schifo e le possibilità di miglioramento sono lo 0,00001%.
Sdolcinato? Che ci posso fare se parla di questo? Perché parla proprio di questo. Di quanto può dirti merda tutto, ma se sei uno spirito sensibile ci sarà sempre una forma di annichilimento che farà da filtro, che non ti renderà cattivo pure a te. Più duro. Più coriaceo. Ma più cattivo, quello no.
Che il protagonista sia gay c'entra così poco. Come il fatto che sia nero. L'amore che prova - sto per dire una frase degna del poster italiano - non ha genere né colore (ho scritto questa recensione prima di tutta la cosa "un'amore" di ieri eh).
È amore, punto.
Ricorda la dinamica di quel film, Weekend, che raccontava sì una storia gay, ma guarda un po' era prima di tutto una storia d'amore, che fosse gay era praticamente marginale, perlomeno rispetto ai sentimenti puri, ai due protagonisti.
Moonlight è un film diviso in tre, tre capitoli distinti e conseguenziali. I fatti del primo capitolo ricadono sul secondo, e quelli del secondo sul terzo, e sembra quasi che quelli del terzo possano fare il giro e tornare indietro, al primo.
I personaggi che incontra il protagonista nell'arco della sua vita ne tracciano il percorso: una figura paterna che non ti aspetti da uno spacciatore che gli insegna come stare a galla (letteralmente)

un amico (anzi qualcosa di più) che si rivela pavido quando deve affrontare un branco di bulli che malmena Chiron, una madre che pensa solo alla droga e un'altra madre acquisita che sa trattarlo con tenerezza. 
Personaggi che lo formano e che fanno di Little Chiron, e di Chiron Black, sempre con quella dolcezza di fondo, che nessuno può eliminare: nonostante abbia tutto il diritto di provare rabbia e di distruggere tutto quello che lo circonda, non la prova, non distrugge, deve solo imparare a costruirci qualcosa sopra 
Invece subisce e vive. Non tanto perché è un martire, ma solo perché se si nasce sensibili, questo è quello che si fa, si subisce e si vive. 
Il finale per me c'è un barlume di speranza, non so se vi farà lo stesso effetto.
Sul dialogo, anzi sulla mancanza di dialogo, sono giocate gran parte delle dinamiche del film. Little/Chiron/Black è quasi muto, non riesce proprio a farli uscire i sentimenti, che lo spaventano anche quando non spaventano gli altri. Una timidezza quasi patologica lo fa pecora in un mondo di lupi, fino a quando non è costretto a diventare così:

perché se devi trovare un suo posto nel mondo degli spacciatori negri di periferia è meglio essere così

piuttosto che così

Un posto che, nonostante i denti dorati e il six pack, non sente per niente suo.
Può esserci dolcezza anche nelle più sfortunate delle vite? Moonlight cerca una risposta a questa domanda e la trova in un film "all black" lontanissimo dalle dinamiche da piagnisteo tipiche della cinematografia afroamericana. Proprio 12 anni e Selma sono due esempi perfetti: raccontarmi di neri sfortunati perché NERI coi bianchi tutti intorno che gli urlano e frustano e vogliono malissimo suona sempre un po' di furberia, non dico falsità, ma un territorio dove strappi facilmente la lacrima.
Moonlight racconta la vita di un uomo, la sua crescita, il suo cercare quel posto nel mondo che non ti faccia sentire scomodo, trovare la risposta a una domanda che gli fanno sul finale: Chi sei tu Chiron?



Non è la risposta che cerchiamo tutti? Non è la dolcezza quella che cerchiamo tutti? C'è un modo di essere sensibili anche facendo le cose più cattive? Sentimentalmente parlando, non c'è cosa peggiore che essere cattivi, con la consapevolezza di farlo, no?
Di certo se mi chiedete "Cos'è Moonlight?" io rispondo "Un bellissimo e inaspettato film."
Probabilmente il 26 sarà fagocitato dalla furberia danzereccia di La La Land, ma se c'è un amore che vale la pena di essere ricordato a questi Oscar, di certo è quello che Chiron non riesce a esprimere a parole, ma solo negli sguardi.
A proposito di Oscar. Naomie Harris, mamma male, è candidata. Per quale motivo non è dato sapere. È palesemente trascinata dall'entusiasmo per il film. Cioè allora l'oscar se lo merita anche lei.
Ecco le altre candidate, che sono le STESSE dei Golden Globe (poi dici un po' la noia). 
Anche qui un mistero. Quest'anno sembra che le lezioni "Pianto, come farlo sembrare vero" siano servite molto.
Gli altri tre film non li ho visti. Li vedrò. Li vedrò?

martedì 14 febbraio 2017

CB ANTEPRIMA • Resident Evil - The Final Chapter

Resident Evil - The Final Chapter 
Trama: Lotto per Milla 

Prima di tutto bisogna capire che RE è diventato Hunger Games:
Ah non è uguale a Hunger Games 'sta locandina? 
È uguale, persino la font.
No, a parte tutto, oltre alla locandina non è diventato HG, perché HG è la storia di una ragazza che si ribella allo strapotere di una dittatura e alla fine che sia pure fica diventa persino un fattore secondario. RE invece è la storia di una che continuano a vestire come una killer di zombi solo perché a 41 è ancora una topa impressionante. 
Il film invece è vecchio che potrebbe essere il ritratto di Dorian Gray di Milla, lei rimane topa mentre la serie invecchia sempre di più capitolo dopo capitolo. RE è rimasto incollato, impantanato, bloccato a quello che era nel 2002, e già non che fosse 'sto capolavoro: un baraccone incasinato con effetti speciali brutti che si attaccava tipo parassita al videogioco e regalava a Milla Jovovich il ruolo della vita, e anche l'unico in cui era tutto così incasinato che il fatto che lei sia un'attrice cagna (non è MAI stata brava. MAI.)
passava in dodicesimo piano.
Vedere il sesto capitolo di RE (dopo, non senza un certo sgomento, aver scoperto di aver visto tutti gli altri, tipo questo e questo) è stata una brutta esperienza. È stato come comprarsi a 70mila soldi il nuovo RE per PS4, metterlo dentro e trovarsi questo:
Che poi per carità il primo RE per PS1 era un gioco irripetibile, su questo non ci piove. Ma uno vorrebbe quatomeno un miglioramento nella grafica.
Invece questo Capitolo Finale (SPOILER! Non lo sarà! Maffigurati se lo sarà...) si ripete la stessa identica struttura dei precendenti 5, se mai ce ne fosse stata una. Una cosa riassumibile in spara spara ammazza ammazza corri corri spara ancora spara ancora repeat. Ma siccome c'è un limite a tutto, ivi compreso il concetto di "questi sono gli elementi che hanno resa famosa la serie quindi non si cambiano", qui tutta l'azione che c'è è talmente ripetitiva che sembra di fissare per un'ora e mezzo il brusio delle tv senza segnale:
Unica nota positiva aver visto per la seconda volta in un mese il visetto incazzato e sexy di Ruby Rose, anche se nello stesso identico personaggio (la fica con la pistola)
Queste foto, che dovrebbero essere foto simpatia extra-riprese ad uso e consumo dei social


non sono poi tanto lontane da quello che davvero fanno i personaggi del film, nel film. Cioè fanno più ridere le pose tutte serie che assumono nel film, che quelle ridere delle foto.
Questa invece è la mia faccia quando sono uscito dalla sala
Resident Evil Final Chapter è un film che non può e soprattutto non DEVE piacere, perché è ancorato a un'estetica da 2002 (ti ricordi quelle cose tipo Equilibrium, Aeon Flux, Ultraviolet... non era un caso che facevo quei grafici a "che pizza!"), che poteva pure andare bene allora, ma oggi è superata come la grafica della PS1. Magari sei un retrogamer, ma per retrogamer si intende gente che gioca ai coin-up degli anni 80, non a Resident Evil 1, ci scommetto.
Una serie come Fast & Furious ha saputo cambiare passo e adesso ogni film è un miliardo di dollari assicurato. RE non conosce il concetto di reboot e diventa solo un altro film da confondere con quello precedente. Che comunque già era brutto.
L'unicissima scena degna di un sorrisetto è l'autocitazione della stanza affettatutti del primo RE.
Che faccio lascio?
Per il resto, meglio riaccendere la PS4, cosa che non faccio esattamente da 10 mesi, e comprarsi RE7 con tanto di occhialoni 3D.
Ormai l'unica cosa che potrebbe salvare questa serie è prenderla veramente a ridere e iniziare a fare scene sceme tipo "killing in the rain i'm killing in the rain" con Milla che balla usando questo Umbrella qui
Oppure fare che la nuova distruttiva invasione che distrugge Racoon City è opera loro:
Dai fatelo.